3. Puntare tutto sulla polenta

Per via di quell’appetito apparentemente implacabile e del motto paterno non puoi dire “non mi piace” se prima non l’hai assaggiato!, ho mangiato carne di diversi tipi e mai che visualizzassi l’animale da cui era stata ricavata. Al massimo ragionavo sul suo gusto e sulla possibilità di fare il bis.

Un giorno, ho mangiato la polenta con gli uccellini, ché dalle mie parti si usa così, ma gli uccellini avevano una tale aria da uccellini che ho preferito puntare tutto sulla polenta.

Una sera, grazie al mio coinquilino francese, ho assaggiato le rane, dal rassicurante sapore di pollo, e per far piacere a mia nonna qualche volta mangiavo le lumache in umido, così terribilmente viscide. Mi piaceva la carne un po’ selvatica di coniglio e pure quella di cavallo. Il petto di pollo al latte e il panino con la salamina.

Non mi piaceva invece staccare la testa ai pesci, che avevano quegli odiosi occhietti neri immobili, e litigare con le lische.


2. Tra i piatti più significativi

Tra i piatti più significativi della mia infanzia, ricordo: gli strozzapreti con salsiccia in un ristorante nell’entroterra romagnolo, la faraona arrosto o la gallina ripiena a Natale, cotechino e lenticchie a Capodanno; in pizzeria la capricciosa, a cena il salame nostrano, ma solo una fettina. Con gli zii, qualche volta, la fondue bourguignonne.

Piatti significativi perché avevano il sapore di un rito familiare.

Non che mangiassimo solo carne, in famiglia. Anzi. Mio papà aveva una relazione amorosa con l’insalata riccia, mia mamma si faceva giganteschi piatti arcobaleno e io e M. eravamo quel tipo misterioso di gemelli che si mostrava entusiasta perfino davanti a un cavolfiore. Avessimo potuto scegliere, però, ci saremmo nutriti esclusivamente del nostro gelato del cuore: la mattonella.

Avevamo una dieta onnivora. D’altronde, mangiare un po’ di carne è normale, naturale, perfino necessario… O no?

 


1. Eccetto le barbabietole

Fino ai trent’anni circa amavo mangiare la carne e il pesce.

Mi piacevano soprattutto lo speck dentro il pane di segale, la bresaola con il limone, il filetto al pepe verde che cucinava mio papà, il pollo arrosto del mercato, la zuppa di pesce fatta in casa e le cozze, in particolare quelle gustate dopo una giornata al mare.

In realtà, amavo mangiare quasi tutto, eccetto le cipolle crude e le barbabietole cotte.

Non ero l’unica, in famiglia, a mangiare quasi tutto: io e M., da piccoli, eravamo quel tipo affamato di gemelli capace di contare quanti gnocchi aveva ciascuno nel piatto per non rischiare la fregatura (e subito dopo il primo boccone spalancare la bocca per mostrarci reciprocamente un incidente in galleria); quel tipo di gemelli il cui appetito, apparentemente implacabile, costava alla loro genitrice battute del tipo: “L’anno prossimo l’abbonamento alla mensa lo paghi per quattro, eh?” E sì che in mensa, alle elementari, il menù tipico era: pasta al pesto più scotta che cotta, nasello insipidello, piselli poco belli. Ma a noi sembrava tutto buonissimo. 


Beatrice e altri animali 4

C’è un tema che da alcuni anni è diventato per me importante e che negli ultimi tempi mi sta particolarmente coinvolgendo (mai rilassarsi in vacanza, mai!) (in “vacanza”). Per dare un po’ di requie a Gianpazienza, che è condannato ad essere il mio principale interlocutore, ho deciso di scriverne. Il piano è questo: vi racconterò una storia che parte dalla mia esperienza personale per affacciarsi un po’ più in là; una storia divisa in 30 minuscole parti, che troverete sul blog ogni giorno alle ore 18, per tutto il mese di agosto. Tempo di lettura: dai 29 ai 57 secondi, titolo compreso (sono comunque in vacanza, eh!) (in “vacanza”).

Allora siamo d’accordo: sarà il breve resoconto di un mio percorso e magari saranno spunti, informazioni, domande. Nessuna verità, nessuna lezione, nessun giudizio.

Dai, fate un favore a ♥ Gianpazienza ♥: da domani leggete Beatrice e altri animali!

(Conoscete La mia famiglia e altri animali? Non c’entra nulla con quello che voglio scrivere, ma è un libro magnifico e felice e rivelatore…)

 


Come le nuvole

Adesso che la scuola è finita, invece di scrollarmela di dosso, mi torna voglia di scriverne. Roba da matti. Eppure è così: i pensieri che riguardano il mio ultimo anno a scuola vanno, vengono, ogni tanto si fermano. Allora basta: li acchiappo e li sistemo qui.

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