È l’Italia


In queste prime settimane di gennaio, a scuola sono successe delle cose.

S. di prima liceo una mattina è entrato in classe con l’aria stravolta e, dopo avermi rivolto qualche incerta parola, ha abbandonato le braccia sul banco e ci ha tuffato dentro la faccia. Ha dormito per un’intera settimana. Poi si è risvegliato. Dice che ora va meglio e che tutti i pomeriggi va a trovare la mamma del suo migliore amico, morto investito attraversando la strada.

Tre studenti di seconda professionale hanno recitato la poesia “Veglia” di Ungaretti, imparata a memoria durante le vacanze. Nove ragazzi della stessa classe hanno più o meno letto e lavorato su un capitolo di un libro di argomento storico. Io mi considero terribilmente soddisfatta.

Nella terza della formazione professionale ci stiamo allenando per la prova d’esame di italiano di fine anno, preparata senza alcun senso di realtà dalla Regione. Gli studenti sembrano aver preso coscienza della difficoltà dell’esame e delle loro carenze e ora in classe pretendono un’atmosfera più concentrata. Così io dico silenzio e loro urlano: Chi parla è scemo, è frocio e ce l’ha piccolo!

In quinta professionale ancora niente interrogazioni di letteratura, ma una mostra di reperti storici è stata allestita in biblioteca dal papà alpino di uno studente, che ci ha raccontato della vita del soldato nella Grande Guerra. Aveva indosso una divisa verde Alpi, in vita una giberna e in mano un fucile marcato Terni. Il mio nuovo mito.

E poi e poi.

Ho tentato di scampare alle palle di neve a ricreazione. Di sopravvivere agli scrutini. Di reagire in modo composto allo studente che si è presentato alla cattedra scalzo, le scarpe a riposare ordinate sotto il banco.

Ho respinto le incursioni in prima liceo di un mio studente del professionale, che mi raggiungeva perché: Non posso stare in classe profe, è arrivata la tipa dell’orientamento, ma l’ha vista? una brutta figa e anche stracattiva.

Mi sono scusata con la tipa dell’orientamento quando siamo restati tutti chiusi dentro l’aula causa porta malfunzionante, gli studenti felicioni che si preparavano allo sfondamento e i tecnici della scuola che alla fine sono entrati dalla finestra, furibondi. Mi dispiace, è la prima volta che succede – ho detto io sorridendo alla nostra sventurata ospite. Non importa – mi ha risposto lei con un sospiro. E ha aggiunto: È l’Italia.

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