L’altalena


Oggi termina la mia gestazione. Nove mesi di endogestazione, che potrei facilmente racchiudere in una parola: disagio, e nove mesi di esogestazione, difficili invece da riassumere. Se dovessi trovare un’immagine per calzarli tutti, sceglierei: altalena. Ci sono momenti, infatti, in cui anche solo un dito delle manine del mio ometto mi fa toccare il cielo, un cielo terso di felicità e pienezza. Nemmeno l’accenno di una nube a oscurare il mio idillio. Ci sono momenti in cui quelle stesse adorabili manine mi schiantano giù, sempre più giù, fino a raggiungere Lucifero conficcato nel centro della Terra.

Per ora la mia maternità è così: oscillare tra una gioia accecante e una fatica nerissima. Sentirmi animata da una forza erculea ed essere abitata da un incalcolabile numero di acciacchi. Alternare una sconfinata gratitudine (quel radioso burroso bambino è proprio mio figlio, pazzesco!) a un profondo senso di frustrazione (fatemi fare la pupù in pace, insomma!).

A farmi scendere in picchiata verso Lucifero sono – indovina indovinello – le notti brave che l’ometto teppista regala con generosità da quando è nato. In quei periodi insonni posso fare cose sconsiderate. Cadere dal letto, prendere a pugni il materasso, fondere lo sterilizzatore usando la funzione grill. Dare due volte da mangiare al cane oppure fargli saltare il pasto, frustare la vasca con il body da cui sto togliendo l’ennesimo merdone, insultare Gianpazienza, reo di gravitare troppo vicino alla mia stanchezza, e farlo quando tutte le finestre della casa sono spalancate. Soprattutto, in quei periodi insonni, a chiunque mi dica uh che bambino buono, bello, un vero angelo replico: certo, è per questo che stanotte dormirà con te. E tutti che ridacchiano senza prendermi sul serio, a parte il figlio cinquenne della mia amica, che mi ha proposto un pigiama party. Potrebbe comunque andare peggio, mi dico per tirarmi su. Potrei frustare l’ometto, grigliare il cane, prendere a pugni Gianpazienza. Potrei continuare a sprofondare e invece per ricominciare a salire basta guardare l’ometto dormire nel suo lettino. E in quei trenta minuti di fila di sonno ammettere che sì, è un vero angelo. Il mio angelo di nove mesi.

Auguri, ometto.

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