Beatrice e altri animali


Un’esperienza preziosa 2

Ci sono un cane e la sua morte, una gatta e i suoi tre cuccioli. C’è una ragazzina appassionata di baseball che si infila nella vita dei suoi zii e c’è una storia di alpinismo, popolata di sfide e di un giaguaro delle nevi. In Allevare un cane e altri racconti c’è, soprattutto, il tratto poetico del grande fumettista Jiro Taniguchi nel cogliere le piccolezze del quotidiano, la gioia e il dolore di cui sono fatti i giorni, l’amore verso i compagni di vita, umani e non.

I suoi romanzi grafici più riusciti, spesso scritti da solo, talvolta con l’aiuto di illustri collaboratori, sono ritratti di persone semplici, frammenti di vita vissuta, di luoghi, accadimenti, sensazioni la cui straordinarietà sta proprio nell’essere ordinari – scrive nell’introduzione Davide Castellazzi.

Tutte cinque le storie che compongono l’antologia accompagnano il lettore in un’esperienza preziosa, ma la prima novella, datata primi anni Novanta, spacca proprio il cuore. Anche di chi non vive con un animale, credo.


30. Alla frutta 2

Dopo tanta carne e qualche verdura poco etica, siamo alla frutta. Non che io abbia finito le energie, ma gli accordi sono accordi ed è ora di mettere un punto a Beatrice e altri animali (un punto e virgola, dai: magari tornerò).

Due cose, prima di salutarvi:

1. So che la prima parte era più sciocchina e carina e poi bang!, sono arrivate come una schioppettata le questioni gravose, ma sentivo l’urgenza di condividerle perché sono state il motore di un cambiamento importante, all’interno di un percorso non ancora concluso. Moltissime, infatti, le mie questioni ancora aperte.

(Tra le altre: se il vegetarismo è per me una scelta filosofica, come posso pensare di imporla al cane, che quando vede un piccione parte all’attacco (…delle briciole, ma che c’entra, la mia è una bestia pragmatica)? È peggio un maglione di lana che proviene dallo sfruttamento della pecora o uno sintetico che proviene dallo sfruttamento del petrolio? Se nella maggior parte dei luoghi che conosco o ho conosciuto per me vegetariana alimentarsi è un’impresa ardimentosa, cosa fa un vegano: un benefico digiuno intermittente? Resta sempre e solo a casa sua? Vive di eccezioni? Oppure: se mi siedo in un bar e chiedo un bicchiere di vino bianco fermo vegano, c’è la possibilità che al gestore non venga voglia di tirare fuori lo spray al peperoncino o un altro strumento di autodifesa?)

2. A mio parere, tutti dovrebbero porsi delle domande e intraprendere un cammino di consapevolezza, senza per forza raggiungere il medesimo traguardo, ma avanzando con il proprio ritmo, magari soltanto di pochi passi.

Si potrebbe iniziare riconoscendo che anche mangiare carne – e quindi animali – è una scelta, non solo l’inverso. Che gli allevamenti intensivi sono un affare sporco ma che rappresentano, in Italia e nel mondo, il modello vincente. Che non tutti i vegetariani sono strani né tutti i vegani estremisti.

Insomma…

Non sarò mai abbastanza cinico

da smettere di credere

che il mondo possa essere

migliore di com’è

Ma non sarò neanche tanto stupido

da credere che il mondo

possa crescere se non parto da me

 

P.S. Solo io potevo terminare un mese di sfinimento sui diritti degli animali con una canzone che s’intitola Costume da torero… Torero! Che disastro.


29. Non sempre un modello

Va bene, penserete voi a questo punto, ma non è che i vegani rappresentino sempre un modello di comunicazione efficace. Avete ragione, penso io. Giudicare, offendere, colpevolizzare la gente che continua a mangiare carne o a bere latte non credo che aumenti l’interesse verso la filosofia vegana, tra l’altro difficile da praticare con rigore nella nostra società carnista (ricordate la Joy?).

Che il vegano dogmatico sia una specie di sciagura è chiaro anche all’attivista belga Tobias Leenaert, che offre ai vegani interessanti consigli di comunicazione e che nel 2009 è riuscito a far istituire nella sua Gand la giornata vegetariana della settimana, il giovedì.

A proposito di tavola veggie, c’è chi l’apparecchia anche di ironia. Prendete quest’articolo, vecchiotto ma sempre attuale, di Andrea Dotti, Viviseziona il vegetariano, un piccolo e divertente decalogo sulle categorie più diffuse di commensali vegfobici. Provate a leggerlo e ricordate: questo pezzo è riuscito nell’impresa di far ridere pure l’amica G., fervente carnivora, che ha ammesso: sono sicuramente un’indignata curiosa!

P.S. E voi, a quale tipologia appartenete? A quella che pensa che se tutti fossero vegetariani saremmo invasi da vacche e maiali? 🙂


28. Etica o non etica, questo è il problema

Restiamo sulla questione comunicazione. Un anno fa è nato un dibattito riguardo alla (non?) etica vegan per via di un articolo di The Vision, che provava a rassicurare gli onnivori sostenendo che non c’è nulla di etico nella vita di un vegano, il quale si strafa di quinoa, avocado, soia, mandorle e anacardi, tutte coltivazioni che significano sfruttamento dei lavoratori e problemi ecologici.

Un discorso disonesto, mi pare: i vegani non mangiano necessariamente quinoa, avocado, soia, mandorle e anacardi, così come gli onnivori non li evitano necessariamente (fate una prova: scrivete su Google ricette avocado, aprite il primo sito che vi appare e imparerete che l’avocado si sposa felicemente con i gamberi e il pollo). Sono poi questi gli unici alimenti che implicano situazioni di sfruttamento? E ancora: è così difficile immaginare un individuo che cerchi, qualsiasi sia la sua dieta, una filiera di economia sana di prodotti da acquistare?

La risposta più interessante all’articolo di The Vision, a mio parere, è apparsa su The Wired, a firma di un onnivoro. Sentite un po’:

I vegan (o almeno i vegan ragionevoli: ma di irragionevoli ce ne sono in ogni categoria umana) non millantano che il loro cibo sia etico in assoluto. Semmai, essendo quasi sempre antispecisti ritengono una scelta etica il non nutrirsi di carne di animali, all’incirca per lo stesso motivo per cui noi non-vegani non ci nutriamo di carne di bambini o di impiegati del catasto: li riteniamo soggetti etici che non è ammissibile sventrare e divorare, a prescindere dal resto.


27. L’aspetto della comunicazione

Riguardo al mondo vegetariano/vegano, trovo l’aspetto della comunicazione davvero interessante. Mi incuriosisce da anni: da quando, cioè, ho iniziato a leggere sui giornali titoli quali: Undici mesi, figlio di vegani: ricoverato per malnutrizione oppure Vegetariano uccide la madre a coltellate per un pezzo di carne in frigo; da quando ho scoperto che se si scrive genitori vegani su Google il primo suggerimento è genitori vegani condannati e il secondo genitori vegani bambino morto; da quando ho visto, nel negozio di magliette al mare, quella con la scritta: Salva una pianta: mangia un vegano.

Quando m’imbatto in queste cose, mi sorgono alcune domande. Tipo: il problema è davvero la dieta o è il fanatismo di chi segue una certa dieta? È l’escludere la carne e i latticini o l’escludere la possibilità di informarsi per evitare carenze? Perché un giornale sceglie un titolo che neanche Lercio, omettendo il fatto che la persona vegetariana che ha accoltellato la madre soffriva di disagi psichici? Ok, fa sorridere la boutade di mangiare un vegano, ma chi indossa quella maglietta sa la differenza tra una pianta e una pecora o ha mai sentito parlare di sistema nervoso? E ancora, qual è il giovamento per l’umanità tutta che i mass media (e non solo) trasmettano l’idea che vegetariano/vegano significa pericolo?