Una festa dentro al cuore


È stata, quella scorsa, una settimana di alzatacce metodiche alle 5 per via di un ingorgo di verifiche e temi da sbloccare. Una fatica.

A scuola, invece, tutto normale. In seconda, B. ha simulato un accoppiamento con il banco del compagno, P. è scoppiato in un pianto fragoroso a causa delle solite prese in giro e C. mi ha detto che non gli voglio più bene e che quindi mi denuncerà. In classe T. indossava una felpa gialla e dunque sembrava una banana, anzi no, una banana marcia perché la sua pelle è nera. Nel frattempo, il caricabatterie portatile di N. ha preso a fumare ed è stato sigillato con prontezza dentro una bottiglietta, mentre io pensavo che finalmente saremmo saltati tutti in aria, banane e guerre puniche comprese. Invece no. Ho potuto così ascoltare K. di quinta, anni diciannove e mezzo, emettere, quando ero di spalle, finti ma rumorosissimi conati di vomito per poi sfoggiare, una volta girata, un visuccio d’angelo dall’innaturale fissità.

Anche nella faticosa normalità della settimana scorsa, però, ci sono stati momenti in cui ho pensato, come Carboni con le ragazze: ciao, ch’ho una festa dentro al cuore. È capitato quando qualcuno tra gli aspiranti meccanici ha dato segni – brevissimi ma preziosi – di non essere impantanato senza scampo dentro una pubertà infelice di stare a scuola. Quando in prima liceo ho detto: ora iniziamo, mettete via i cellulari e i cellulari in effetti sono spariti oppure quando, dopo ogni mia domanda, si sono alzate molte mani (e non, per dire, bestemmie). Quando nella classe di alfabetizzazione le ragazze e i ragazzi hanno riso forte e si sono impegnati fortissimo. Quando ho incontrato in corridoio la mia collega amica. Quando è arrivato venerdì, uno di quei venerdì con davanti non un weekend, ma quattro giorni di vacanza. Ciao, una festa!

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