Nelle scorse settimane ho pensato che non avrei più scritto nemmeno un rigo di quisquilie finché non mi fossi liberata dal peso delle incombenze che mi sentivo gravare addosso. Così novembre è calato e già trascorso, portandosi via cose molto brutte e molto belle, ma nemmeno un rigo. Poi l’altro giorno a scuola ho chiesto a T. di buttare nel cestino la bottiglietta che era rimbalzata su diverse teste. T. non si è mosso: Ma secondo lei? C’ho scritto schiavo in fronte? È stato uno schiaffo così sonoro da farmi tornare la voglia di scrivere. Allora grazie T.
Cose novembrine da ricordare.
Quando M. di prima liceo mi ha confidato: Non capisco come sia andata la verifica e sono preoccupato perché alle medie in geografia non ho mai preso meno di otto. M. ha genitori che si stanno separando, una terapia per la crescita che talvolta gli rende impossibile venire a scuola e una grande motivazione allo studio. Ha preso otto e mezzo nella verifica. Ma io per lui vorrei un colpo di bacchetta magica e – puff! – un’adolescenza più lieve.
Quando F. di quinta professionale mi ha chiesto a voce bassa: Ma è vero che ha quarant’anni? No, perché non sembra… e mi ha guardata come noi quarantenni guarderemmo una quercia millenaria che, per quanto millenaria, conserva ancora una certa vitalità.
Quando in prima liceo ho proiettato il lavoro di S., studentessa con una grave disabilità, e i suoi compagni hanno applaudito e lei sembrava felice. S. non cammina da sola, non parla quasi ed è sempre affiancata dall’educatrice o dall’insegnante di sostegno. Il padre ogni mattina le posa lo zaino sul banco quando l’aula è ancora vuota, dieci minuti prima delle otto. Quando guardo S. penso che sia bellissima, ma la vita crudele. E sì, vorrei tanto la bacchetta magica.
Quando M. di seconda professionale, durante una pausa, è finito nell’armadio, chiuso dentro. E mentre io tornavo alle rime baciate (qualche esempio, ragazzi? Sì profe: scopare/ficcare, cantare/trombare…), lui ha telefonato a un suo compagno. Che davanti a me ha risposto, si è alzato e l’ha liberato. Erano dieci minuti che stava lì, pare. Nel frattempo, dal suo zaino era sparita la merenda. Anzi, dov’è il mio zaino, profe?