Lo sa che sabato era la giornata mondiale dell’archeologia? mi ha chiesto martedì, un minuto dopo le otto, M., prima liceo. Come la settimana scorsa, sembrava felice. Anch’io lo ero. Ormai il nostro è un rapporto così, fatto di ricorrenze e davvero?, di sorrisi e grazie di esistere, M.
Mi vuoi sposare, profe? mi ha chiesto quello stesso martedì B., terza formazione professionale, in ginocchio con la mano tesa a porgermi un anello. Gli ho lanciato un’occhiata distratta, occupata com’ero a quietare i battibecchi che continuavano a interrompere la lezione (la “lezione”):
– Cosa sei andato a fare in bagno, testa di cazzo?
– A masturbarmi, no?
– Chissà poi se lo trovi il tuo pisellino sotto tutta quella ciccia…
– Tua mamma lo trova sempre.
Nonostante la mia esperienza decennale tra gli aspiranti meccanici, continua a turbarmi il loro modo di comunicare e talvolta di rivolgersi a noi insegnanti:
– Posso andare in bagno?
– Dai D., lo sai che dopo ricreazione non…
– Questa è una cazzata, profe.
oppure
– Non mi sembri concentrato, K.
– E invece sì! Guardi quanto ho scritto! Lei vuole fottermi ma non ci riesce!
oppure
– Cosa fai con la testa fuori dalla finestra, H.?
– C’è puzza di merda profe, quel coglione ha scoreggiato!
In classe allora conduco la mia sempiterna battaglia contro la scurrilità, che mi ricorda tanto la lotta zoologica che mi impegna fuori da scuola. Il turpiloquio infatti esercita sui miei allievi lo stesso irresistibile richiamo della cacca di gatto sul mio cane. Perfino la veterinaria mi ha suggerito di arrendermi (mai visto un cane che non gradisca, sostiene), ma io niente, proseguo a rincorrere la bestia urlando nooo! e poi la sculaccio, mentre lei scodinzola e si lecca i baffi, appagata. Con gli studenti, uguale.
– Basta! Non ci si esprime così! Non capite che siete a scuola? Che state parlando con i vostri compagni? Con l’insegnante? Dovete essere educati! Avere rispetto! Sono stata chiara?
– Ma sì, profe… Non si arrabbi. Piuttosto sa che ore sono che mi sto rompendo il cazzo?