I maranza bravi


Sa che ieri era il 530° anniversario della scoperta dell’America? mi ha detto l’altro giorno M., prima liceo, avvicinandosi alla cattedra alla fine dell’ora. Scuoteva la testa, quasi incredulo dinanzi alla portata della notizia, e sembrava felice. Anch’io ero felice.

Usa questo, profe: [seguono suoni in lingua altra] significa “state zitti, cani!” in albanese. Io comunque sono stato bravo oggi, no? mi ha detto quello stesso giorno S., seconda professionale, alla fine di un’ora storta di storia.

Mi piace la fine dell’ora: è un buon momento per raccogliere confidenze e pensieri. Oppure promesse e preghiere (La nota! La prego, mi tolga la nota… Mia madre… Lo stadio… Il weekend… Il cellulare… Me la tolga! Giuro che…).

All’inizio dell’ora invece si annusano gli umori. Se la disposizione d’animo è buona, l’accoglienza può essere festosa: Buongiorno! La mia profe preferita! Che bella che è oggi! In caso contrario, capace che gli sbuffi inizino già in corridoio… Ma abbiamo ancora lei? Cazzo profe, vedo più lei che mia madre!

Tra un’ora e l’altra, talvolta mi capita di acchiappare una parola che sento svolazzare nelle conversazioni degli studenti e chiedere chiarimenti. Come nel caso di “maranza“, usato già nello scorso millennio e ora tornato in auge.

Allora profe – mi spiega Y., mentre disegna alla lavagna un ceffo super tamarro – il maranza ha scarpe da pusher per scappare veloce dalla polizia, il cappello di Gucci al contrario o il cappuccio della felpa alzato. Ha anche il borsello di Louis Vuitton tarocco. Poi ci sono due livelli di maranza: il maranza criminale finto perché ruba ma se lo beccano piange e arriva la mamma a prenderlo con la Porsche e poi il maranza bravo che si veste così ma è bravo.

Si accettano scommesse su quanti, a quel punto, si sono proclamati con un certo orgoglio maranza bravi.

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