Ho visto una scarpa volare. Lunedì, alla sesta ora. Ho visto una cintura in mano anziché nei passanti dei jeans e ho pensato: è arrivato il tempo delle cinghiate. Ho visto una mia nota su Instagram, con il nome dello studente coperto e il mio in bella vista. Ho visto una buccia di banana ascoltare la lezione sull’Italia giolittiana, seduta composta sopra il neon del soffitto. Ho visto un ragazzo dall’aria rassegnata comunicarmi il furto del suo panino. E pure dei crackers. Era il mio pranzo, profe. Ho visto smorfie dolenti alterare i volti dei miei allievi mentre accusavano improvvisi malori e invocavano il bagno e ogni volta ho scommesso sullo stesso finale (un ritorno in classe sprizzante salute, in mano un bicchiere di cioccolata e in tasca le patatine). Ho visto un nugolo di gente intorno all’eroe del momento, quello che impugnava un panino con la cotoletta. Ho visto un mio studente del professionale seduto alla cattedra della mia prima liceo, in attesa di fare l’appello. Ho visto un altro studente uscire dall’aula, bussare, affacciarsi domandando ai compagni: avete una squadra? e ho visto i suddetti compagni alzarsi insieme, aprire la felpa e mostrare la maglia che avevano indosso, quella della loro squadra del cuore. Sì, insomma: la squadra c’era. Ho visto due rivali in urgenza pipì contendersi l’uscita al bagno l’uno con coppino chiassoso l’altro con calcio gagliardo. Mi ha dato un calcio nei coglioni quel figlio di puttana! ha urlato quello del coppino, spalancando con furia la porta della classe. Ma in corridoio, proprio lì davanti, c’era il preside. Così ho visto la porta richiudersi. Lentamente.