Forse pioverà per sempre 6


Per qualche ragione, pur essendo stata assunta a tempo indeterminato (!) il primo settembre, ho conosciuto solo oggi una delle mie classi. E mi sento in dovere di presentarvela. Trattasi di una seconda del percorso di Istruzione e formazione professionale, indirizzo di meccanica.

Innanzitutto, impiego un discreto tempo a convincere i ventisei giovanotti a entrare in aula e a sedersi (ma mai, in cinquanta minuti, li convincerò a indossare correttamente la mascherina). In effetti, superata la soglia, vedo una sola persona seduta diligentemente al suo banco, con indosso la mascherina: è la collega di sostegno.

Tento di dire buongiorno, ma senza successo, perché sono subito investita da frammenti di schiamazzi, che potremmo riassumere in: Dio ***; tua mamma; sì, bravo a farti le seghe; falle vedere il bicipite.

Riprovo a dire buongiorno. Ce la faccio. Che la conoscenza abbia inizio! Le prime informazioni che raccolgo sono:

– Oggi è il compleanno di uno dei giovanotti (un indizio: Tanti auguri, figlio di puttana! Tanti auguri, figlio di puttana!);

– Esistono due sole cose apprezzabili a scuola: la figa (che si intravede in altre classi) e il bar (che è motivo di ritardi e note disciplinari).

Chiarito ciò, andiamo avanti. Pongo una prima, urgente domanda – Ma cosa fai? – a un tale che usa la stampella del compagno infortunato come fosse un mitra (e che mi risponde, seccato dal mio scarso acume, il cecchino, no?). Alla terza raffica di frocio!, non resisto e decido di chiarire che non si tratta di un insulto, ma di un termine volgare per indicare… Sì, lo so, profe: omosessuale. Ma lei è pro o contro? Io pro perché più froci ci sono in giro, più figa c’è per noi!

Dopo ventisei presentazioni sputate di malavoglia e ascoltate con difficoltà, mi risolvo ad affrontare lo spinoso motivo per cui mi trovo lì: insegnare Storia. Parto rispondendo alla solita, elegante sollecitazione (Cazzo mi servirà la Storia, poi…) e, anche se in linea teorica credo davvero a quello che sto dicendo, in quel momento non riesco a non sentirmi sommamente ridicola (Voi non siete il lavoro che andrete a fare! L’importanza di formarsi come persone, come cittadini! Studiare il passato per porsi delle domande sul presente! La cultura! Lo sguardo critico! Essere liberi!). Nessuno, a onor del vero, mi accusa dei soliti bla bla bla degli adulti. Nessuno, dopo il mio discorso, ride, rutta, bestemmia, complice forse l’avvincente partita che tutti, fuorché la collega di sostegno, stanno facendo al cellulare.

Chiedo poi se c’è un argomento o un episodio storico che negli anni scorsi hanno studiato volentieri, che ricordano, che li ha colpiti. Nessuna risposta.

Quindi? – insisto.

– La guerra.

– Le scimmie.

– Gli ebrei.

– In che senso gli ebrei? – chiedo.

– Nel senso che sono contento che li hanno uccisi.

– Sei contento che milioni di ebrei siano stati sterminati?

– Cioè non è che sono contento, non me ne frega un cazzo… A me degli ebrei morti non me ne frega un cazzo.

Non mi arrendo e annuncio che quest’anno ci concentreremo sulla Storia romana. Chiedo: Che cosa vi viene in mente, se dico Romani? Mi raggiungono due flebili voci – il Colosseo? Cesare? – e poi un’altra decisamente più convinta: La carbonara! Ed ecco, d’improvviso, aprirsi la querelle: La carbonara non è di Roma, coglione! È di Napoli! No, no, di Bologna! Di Bologna?! Ma allora è come se io dico che il couscous viene dalla Tunisia! Che cazzo c’entra questo? La Tunisia è una nazione…

Inizio ad avere la testa confusa, nonché una discreta fame, ché è l’una passata, così mi volto verso la collega. Non apro bocca, ma lei capisce: Sì, fanno sempre così. Per me è la prima volta in una scuola come questa, non avevo idea che… Ehi, tu, vieni giù! Mi giro di nuovo verso la classe e mi accorgo che uno dei giovanotti dell’ultima fila ha un piede sulla sedia, l’altro sul davanzale e la testa e le braccia fuori dalla finestra. Voglio solo vedere se piove, profe!

Non pioveva. O forse sì. Forse pioverà per sempre sulle due ore di Storia settimanali. Ma sono solo due ore… Solo due ore.

 

P.S. Credo molto nelle ore di Storia, mi ha detto la collega di sostegno laureata in Lettere, alla fine dell’ora. Poi ha riso. Credo proprio che diventeremo amiche.

 


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