storia


Diario di una settimana di marzo

Lunedì

Breve passeggiata fuori e dentro il Castello. Io cerco fiori da fotografare e il mio cane l’amico operatore ecologico che gli regala coni gelato (e che a me chiede: ma sei uscita in pigiama?). In auto alzo il volume della musica per spegnere i pensieri in bilico tra il diciannovesimo giorno di guerra e il primo giorno di un’altra settimana di scuola.

Un’ora di osservazione nella classe del mio tutor. Mi piace. Fosse arrivata dieci anni fa avrebbe avuto un altro senso, ma tant’è. Anche lui è in bilico tra l’Ucraina e l’epica, così un po’ si parla dei ragazzi scappati dalla guerra che presto siederanno ai nostri banchi, un po’ del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli achei.

Dagli Achei alla mia oasi felice di alfabetizzazione è un attimo: strappare agli studenti stranieri due parole di italiano e un sorriso dietro la mascherina è la mia missione speciale.

Ma dura poco: eccomi già nella prima dei perennemente sospesi (oggi solo quattro). Prendete il libro di grammatica, dico, e il re dei sospesi, prontissimo, prende dallo zaino una scatola di cereali, una bottiglia di latte e un bicchiere (fai il bravo, non mettermela la nota, dirà poi al collega di sostegno).

Non vorrei, ma mi tocca, la spina di storia alla sesta ora nella seconda regionale. Causa stage (cari gommisti, vi sono vicina), ci sono solo sei studenti, ma l’aut aut resta lo stesso: o il cellulare o il bordello. Insisto e alzo la voce. Loro il volume della musica. Contratto. Paziento. Mi arrabbio. Riprovo. Ma perché vuoi fare la seria? Già, perché? (altro…)


Chicca #8

– Il Medioevo, dicevo… ­­

– Chi non è nelle Storie di Giada non è nessuno! – mi interrompe trionfante L., il cellulare in mano.

– Tua mamma!

– Che cazzo me ne frega di Giada! Tutti a dire Giada qui, Giada lì…

– Giada è una bella figa!

– Tua mamma!

Qualcuno, un po’ vociando un po’ a gesti, fa capire che l’orientamento sessuale di Giada è oscillante.

Quello che è nelle Storie di Giada fa capire che l’orientamento sessuale di Giada oscilla più a loro vantaggio. Per esprimere il concetto si serve solo dei gesti.

I miei studenti gesticolano decisamente più dell’italiano medio, penso. E poi: ma non stavamo parlando di Medioevo?


Chicca #1

Bestemmia. Fingo di non sentire.
Bestemmia. Protesto.
Bestemmia ancora. Mi arrabbio.
Lui si difende: non sono bestemmie, ma invocazioni ad Anubi, il dio egizio dalla forma di cane (di canide, per la precisione).
Terminata l’arringa, gli arriva un messaggio e il suo cellulare (naturalmente non silenziato, naturalmente sul banco) anziché fare “bip”, bestemmia.
– Davvero hai una bestemmia come suoneria?
– Sì, profe! Ah ah ah! Ma non è una bestemmia, sto invocando Anubi!
 

Forse pioverà per sempre 6

Per qualche ragione, pur essendo stata assunta a tempo indeterminato (!) il primo settembre, ho conosciuto solo oggi una delle mie classi. E mi sento in dovere di presentarvela. Trattasi di una seconda del percorso di Istruzione e formazione professionale, indirizzo di meccanica.

Innanzitutto, impiego un discreto tempo a convincere i ventisei giovanotti a entrare in aula e a sedersi (ma mai, in cinquanta minuti, li convincerò a indossare correttamente la mascherina). In effetti, superata la soglia, vedo una sola persona seduta diligentemente al suo banco, con indosso la mascherina: è la collega di sostegno.

Tento di dire buongiorno, ma senza successo, perché sono subito investita da frammenti di schiamazzi, che potremmo riassumere in: Dio ***; tua mamma; sì, bravo a farti le seghe; falle vedere il bicipite.

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Di un caso straordinario

Prima della parentesi Catarella, si parlava di persone dall’aria provata e l’animo sospeso nell’incessante noia.

“Occhio al mosaico” di Francesca Zoboli

È difficile, secondo me, resistere anche a una sola fetta di quella cosa enorme che è la perdita della libertà personale: la libertà di scegliere le persone con cui condividere tempo spazio intimità, la libertà di muoversi e agire in autonomia, ma non solo… Ci sono privazioni magari più sottili ma altrettanto aspre: avete mai pensato alla mancanza del silenzio, per esempio? Come ho già scritto, in carcere c’è sempre rumore: di giorno, ma anche di notte, quando gli strazi e le astinenze restano svegli e chiassosi. Il silenzio, si sa, serve anche per un percorso scolastico: i detenuti, però, non riescono a studiare nella loro sezione perché impossibilitati a concentrarsi (nonché a grande rischio irrisione: cosa pensi di fare con quei libri? Chi ti credi di essere?) e non possono studiare nelle più tranquille aule perché non hanno il permesso di frequentarle al di fuori dell’orario delle lezioni. E avete mai pensato agli spifferi? Sono solo soffi, eppure d’inverno, in una cella, devono dare il tormento.  (altro…)