Prima di concentrarmi sui personaggi più singolari che popolano le mie classi dietro le sbarre, vorrei aprire una parentesi sul personale penitenziario. Al di là di 007, che come sapete non ama le borracce, potrei raccontare di tutta la gente gentile che mi rivolge saluti e sorrisi. Già, potrei ma non lo faccio. E sì che anche Gianpazienza spesso mi incoraggia: Almeno provaci, a far finta di essere una bella persona! Niente da fare, non ci riesco, ed è per questo che ora scriverò di qualcosa di infelice che mi ha colpito.
Sarà una banalità, ma non sempre il personale penitenziario ha un atteggiamento positivo nei confronti della scolarizzazione in carcere. Non parlo della direzione, con cui non ho a che fare, ma degli agenti addetti alla custodia dei detenuti. È come se alcuni di loro non capissero perché le persone recluse abbiano la possibilità, nonostante i reati commessi, di seguire corsi, fare attività, leggere i giornali che la scuola procura loro gratuitamente (esattamente come li procura agli studenti fuori dal carcere).
Una volta, per esempio, un agente ha chiesto a me e a una collega, come fanno molti quando ci vedono passare con i quotidiani, di poter prendere un giornale e nell’afferrarlo ha commentato con sommo disprezzo che quelli hanno pure i giornali gratis, mentre noi… Ecco, io uno che non coglie la differenza tra il poter e il non poter alzare il culo da lì per andare in edicola, che non capisce che lo scontare una pena non può significare costrizione anche morale e abbruttimento su tutti i piani, compreso quello culturale, ecco, io uno così non credo che dovrebbe lavorare in carcere.
E non credo neppure che i Catarella, fuori da una serie televisiva, facciano davvero ridere.
La storia è questa.
Nell’impervio tragitto atrio-aule mi imbatto in Catarella nei panni di agente penitenziario. È esageratamente gentile e fa discorsi sconclusionati nella lingua di Catarella, oscura perfino a Montalbano, figuriamoci a me (tra l’altro mi sembra ingiusto lamentarsi di tutti quei pakistani che non parlano l’italiano e far finta che sia normale che io non capisca un Catarella). Sarà per via dello scoglio linguistico o della sua ricerca di complicità, ma l’agente Catarella mi mette a disagio. Un giorno, per dire, mi vede alle macchinette nell’atrio e insiste per offrirmi un caffè che in realtà ho già pagato e io allora mi agito tanto da rovesciarmelo addosso.
Un’altra mattina, al termine delle lezioni, mi indica una ragazza (che a me piace molto) e mentre io tento di uscire (invano perché ha lui le chiavi), mi fa un discorso sconclusionato nella sua lingua, di cui colgo le seguenti parole: troietta, si fa mettere le mani sul culo, bisogna stare attenti, una storia di droga, ha ucciso una persona. Al che lo guardo con una faccia stravolta.
Stravolta perché mi aspetto che una voragine lo inghiottisca e invece niente, il pavimento resta saldo sotto tali enormità.
(Mi capita, in situazioni particolari, di aspettarmi che qualcuno, tipo Ade, mi venga in aiuto e invece solo grandi delusioni dal dio degli inferi, che non mi ha soccorso neanche il giorno in cui una collega degli aspiranti ragionieri ha detto: Non è che se una va in giro mezza nuda poi dobbiamo stupirci che venga violentata… Macché! Neppure un piccolo fremito sotto i piedi di quella donna nonché formatrice, neppure un colpo di tosse da quel pavido di Ade…)
Comunque.
Non è per intimorirti, conclude Catarella (figurati, penso io, a me mica allarmano gli omicidi fuor di romanzo o tv!). Gli faccio allora presente che non gli ho chiesto nulla e che preferisco non conoscere i reati dei miei studenti. Lui risponde: Eh, voi insegnanti dite tutti così, ma una raccomandazione serve sempre… Niente, nessuna voragine si apre, solo la porta che finalmente mi permette di allontanarmi.
E mentre me ne vado arrabbiata, penso: io non sono un giudice, cazzo! Io faccio l’insegnante e di fronte a me ho degli studenti. Punto. Il motivo per cui facciamo lezione in un’aula di un carcere anziché di una scuola non deve interessarmi: innanzitutto perché sono una fifona e temo di restarne turbata e poi perché non capisco che cosa c’entrino i reati con la didattica. E con la sorveglianza, che cosa c’entrano? Perché Catarella sa che cosa ha commesso quella ragazza? Qual è il senso o il vantaggio di ciò, se non dare spazio a idee pregiudizievoli?
Sarà una banalità, ma tra il personale penitenziario – che svolge un lavoro ingrato con turni estenuanti causa la carenza di organico e (immagino) moltissima noia – ci sono tipi molto diversi e perfino deliziosi, secondo alcuni detenuti. C’è gente gentile che mi rivolge saluti e sorrisi e c’è chi mi dice, mentre ripongo i libri nell’armadio: Complimenti per il nuovo taglio… E anche per tutto il resto (ma questo non è rilevante: sono passati vent’anni da quando, in un pomeriggio piovoso, un tale per strada si è aperto l’impermeabile mostrandomi un pisello più o meno pendulo, da quando insomma ho preso per la prima volta coscienza che bisogna rassegnarsi a condividere il mondo con i maschi e con quello che un pisello più o meno pendulo spinge loro a dire o a fare).
Tra questi tipi molto diversi di agenti, comunque, ce n’è almeno uno che infarcisce di troiette e omicidi un oscuro discorso e un altro con gli anfibi neri cattivi che i giornali e la scuola: perché? E siccome io non riesco a far finta di essere una bella persona, non potevo non scriverlo.
P.S. Per dover di cronaca devo aggiungere che, dopo quell’episodio, ho incontrato Catarella un’altra volta soltanto e poi mai più. Che quel pavido di Ade si sia finalmente deciso a intervenire?!
Mentre ti leggevo mi domandavo, tra le altre cose, chissà che formazione hanno, queste persone che fanno le guardie carcerarie. E poi mi sono detta…formazione??? Ma se non formiamo proprio nessuno, in Italia, e quando lo facciamo è in maniera inadefuatissima…tanto che neanche i medici, neanche gli insegnanti, hanno una preparazione UMANA vagamente sensata e devono trattare con essere umani in sofferenza o in formazione o entrambe le cose…quale percorso avranno mai fatto queste persone? Eppure si trovano a dover condividere tanti momenti di vita di altre persone, che sono in un momento che non definirei di certo “normale” della vita.
non dovrebbe essere così….
Sono quasi certa che Catarella non abbia fatto alcun tipo di formazione, ma magari altri agenti sì! Di sicuro sarebbe utile… Comunque è una bella domanda, mi informerò. 🙂
Buongiorno,
ho letto con piacere le precedenti avventure del libro ma… questa sembra essere un’altra avventura ancora più grossa e impegnativa!!
Mai avrei pensato alla vita di un insegnante come AVVENTUROSA….
Quando si dice uscire dalla comfort zone…
Ciao
Betty
Ciao Betty, hai visto che avventure questi supplenti?! Ogni anno grandi sorprese! 🙂