Archivi annuali: 2015


E tutto va bene

A scuola tutto va bene.

Certo, quando facciamo lezione, c’è sempre un cellulare che squilla (e qualcuno che risponde), una musica indiana che parte o un orgasmo femminile che risuona d’improvviso dalle mani di qualche giovane videodipendente.

Certo, quando mi volto verso la lavagna, c’è sempre il disegno di un grande pisello villoso che mi guarda stupito.

Comunque tutto va bene.

Mentre accompagno i ragazzi nella grande scoperta della lingua italiana e loro mi fanno l’occhiolino (profe, il mio cuore è suo), mi rendo conto che anch’io sto ampliando le mie conoscenze linguistiche… Jimmy significa stupido in ghanese, gandu vuol dire frocio in punjabi, mentre in qualche paese dell’Africa nera pare che patata (non credo intesa come tubero commestibile) si dica cioè e palle shoah. Molto bene.occhiolinojpg (altro…)


Com’è andata? 1

La settimana scorsa una collega mi ha ringraziata: due suoi studenti, che avevo aiutato a leggere, parafrasare e riassumere il primo canto dell’Inferno, hanno preso sette nell’interrogazione. Trattasi di un ghanese e di un singalese con un italiano malfermo, ma ben disposti verso Dante. Sono ragazzi fantastici.

L’unica cosa bella a scuola è mangiare il pollo del Penny Market, io dico solo che è meglio se ognuno fa cazzi suoi, ma cos’è questa vecio, la legge di Senegàl? Come fai a essere così provocante profe, tu sei illegale, una vita senza cellulare sarà una vita di merda lo giuro, hai fumato figlio di puttana? Ma vecio ti buco, vecio t’ammazzo, cos’è che vuoi fare coglione, te sei buono solo a fare kebab, tu invece, cous-cous, impara a camminare, io sono stanco ho scopato troppo figa, grazie profe è stata la lezione più bella della mia vita.

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Una grande fortuna

La mia scuola, dicevamo, è popolata da giovani con il coltello in tasca e la bocca piena di prepotenza, da diciottenni soli con la pancia vuota, da teste ingolfate da una fede ottusa.

La mia scuola è questo ma non solo, e io la mattina sono contenta di varcare la sua soglia (di bussare alla sua soglia: le porte sono chiuse se non dalle 7.55 alle 8.05, prima e dopo i bidelli aprono a propria discrezione).

Sono contenta perché sapere di trascorrere nello stesso luogo un anno scolastico senza interruzioni né incertezze mi dà una sensazione di tranquillità a cui non sono abituata.

Sono contenta perché avere per nove mesi uno stipendio da insegnante mi regala un senso di clamorosa agiatezza, un’agiatezza che ha sconvolto me e pure l’impiegata in banca (Ho visto che adesso hai un’entrata fissa… Bene, brava!)

Sono contenta perché la scuola è così vicina a casa che prendere l’auto non ha senso. (Più della mia contentezza per la sospensione delle trasferte, si segnala il respiro di sollievo di (non necessariamente in quest’ordine): Gianpazienza, mio papà, gli automobilisti tutti.)

Oltre alla stabilità, l’agio e l’eco-trasporto, che basterebbero da soli a farmi arrossire di giubilo, io a scuola vado per fare il lavoro che ho scelto e che mi piace: questo sì che è un vero privilegio!

Ma c’è di più. (altro…)


Tra un coltello e un trapano, il Promemoria

Qualche giorno fa, appena uscita da scuola, m’imbatto in una rissa tra studenti nella via parallela all’istituto. Mi avvicino e capisco che è appena finita, individuo uno degli studenti coinvolti, nerboruto e parecchio agitato, e vengo a sapere il nome degli altri due, già scappati. So benissimo chi sono, uno è lo stesso con cui tempo fa ho avuto uno scontro veramente (veramente) acceso, terminato con la sua sospensione. L’altro coinvolto è il suo inseparabile compare (in via di sospensione).

Tre le cose che più mi hanno colpito dell’episodio: tutti quelli che si sono avvicinati al ragazzo nerboruto per calmarlo o incitarlo avevano il suo stesso colore di pelle; mezza scuola ha assistito allo spettacolo, il cellulare in mano per filmarlo; la postina, altra (suo malgrado) spettatrice, mi guardava come fossi una marziana, mentre diceva: Ah quindi lei è una professoressa della scuola… I carabinieri sono stati avvertiti, ma ormai… Quelli arrivano sempre quando è finito tutto… Comunque io non la invidio, io proprio non la invidio, no no, io davvero non vorrei essere nei suoi panni. Auguri, eh!

Il giorno dopo, questiono il nerboruto, in quel momento intento a creare dei biglietti d’ingresso per una festa che si terrà prossimamente in periferia (Black Soul, dice il biglietto). Calmo, mi risponde con un discorso che si potrebbe riassumere in: io non rompo i coglioni a nessuno, ma se qualcuno li rompe a me, io lo meno. Voilà.  Tra l’altro, farsi menare da lui, tutto nerbo e arti marziali e processi alle spalle, non è mica una robetta da nulla. Io e papa Francesco, per dire, ci penseremmo bene prima di dirgli una parolaccia contro la mamma.

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Ho fame, mi ha detto

Profe, io oggi non posso lavorare: ho fame – mi ha detto, ieri dopo mezzogiorno, un M. insolitamente agitato.

Perché, non hai mangiato stamattina? – ho replicato distratta, ancora sotto shock per avere assistito all’intervento sulla legalità tenuto da due agenti della polizia locale nella classe delirio della formazione professionale. No, ma… Mai visti ragazzi così silenziosi, così pronti nello svolgimento di una consegna, così lucidi… E stiamo parlando di tipetti che Raccontatemi un buon proposito per quest’anno – dico io – Scoparti – scrivono loro. Tipetti con fessure d’occhi e aromi tanto stupefacenti che sempre temo di essere di fronte al precipizio di un collasso. Già, stiamo parlando di creature che No’ so’ persone so’ bestie! non si stanca di ripetere il mio collega, con mio grande sgomento (come può offendere così il mio cane?)

Illustrazione di Marta Altés

Illustrazione di Marta Altés

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