Ho fame, mi ha detto


Profe, io oggi non posso lavorare: ho fame – mi ha detto, ieri dopo mezzogiorno, un M. insolitamente agitato.

Perché, non hai mangiato stamattina? – ho replicato distratta, ancora sotto shock per avere assistito all’intervento sulla legalità tenuto da due agenti della polizia locale nella classe delirio della formazione professionale. No, ma… Mai visti ragazzi così silenziosi, così pronti nello svolgimento di una consegna, così lucidi… E stiamo parlando di tipetti che Raccontatemi un buon proposito per quest’anno – dico io – Scoparti – scrivono loro. Tipetti con fessure d’occhi e aromi tanto stupefacenti che sempre temo di essere di fronte al precipizio di un collasso. Già, stiamo parlando di creature che No’ so’ persone so’ bestie! non si stanca di ripetere il mio collega, con mio grande sgomento (come può offendere così il mio cane?)

Illustrazione di Marta Altés

Illustrazione di Marta Altés

Comunque, mentre io ho la schiena curva e l’anima ansante per il peso della nuova scoperta (non ci vogliono professori nelle classi, ma poliziotti), M. mi dice: Ho fame.

Diciott’anni e mezzo e provenienza ghanese, M. è uno studente di prima superiore che mi piace da matti, con quei dentoni sempre scoperti in un sorriso e la voce profonda che non fa che incespicare in un italiano ancora claudicante. M., che ogni giorno in corridoio scappa, tra grasse risate, da qualcuno che lo vuole menare e in classe ha tempi da testuggine africana, adesso ha fame.

Piano piano mi raddrizzo, schiena e orecchie. Il papà doveva rientrare dal Ghana, ma ha cambiato idea: forse tornerà a febbraio. La mamma ha deciso di raggiungere una sorella in Francia e ora M. è qui da solo.

– Ma ci sono degli adulti con te, M.? Qualcuno che conosci?

– Ma ti hanno lasciato dei soldi?

– Ma com’è possibile, M.?

Com’è possibile rimanere soli in Italia, a diciott’anni e mezzo, con una lingua claudicante e senza più soldi, ché sono finiti?

Io e M. siamo andati a fare la spesa, quand’è suonata la campanella d’uscita (uscita per me, lui aveva ancora un’ora, ma voi non ditelo a nessuno). Io gli chiedevo impensierita Ti piace questo, M.? e lui spaesato mi diceva sempre e molte volte grazie. Io che subito dopo ho pedalato verso le mie comodità e lui che è tornato in classe, una borsa di cibo nascosta in portineria.

Stamattina proverò a smuovere la scuola per capire cosa si può fare per aiutarlo, ma ieri notte mi rimbalzava in testa l’immagine di me diciottenne in Ghana, con mio papà tornato in Italia (a caccia di un’edicola che vendesse La Repubblica) e con mia mamma che Ciao carina, io raggiungo la zia Isa in Zimbawe. Io che avevo fame in Ghana a diciott’anni e mezzo… Non è che fosse un’immagine rassicurante Poi ho pensato che mio fratello avrebbe avuto fame insieme a me e allora mi sono un po’ tranquillizzata, ché con un fratello gemello non esiste davvero scoramento e solitudine. Ma M.? I suoi fratelli, le sue sorelle? Sarà mica il primo figlio unico d’Africa?! – mi sono quindi disperata, ieri notte.

Non so quasi nulla di M., alla fine. So soltanto che è rimasto solo, in un Paese che non è (ancora?) il suo. Solo a diciott’anni e mezzo.

Illustrazione di Emilio Urberuaga

Illustrazione di Emilio Urberuaga

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