quesiti


Catarella e gli altri 4

Prima di concentrarmi sui personaggi più singolari che popolano le mie classi dietro le sbarre, vorrei aprire una parentesi sul personale penitenziario. Al di là di 007, che come sapete non ama le borracce, potrei raccontare di tutta la gente gentile che mi rivolge saluti e sorrisi. Già, potrei ma non lo faccio. E sì che anche Gianpazienza spesso mi incoraggia: Almeno provaci, a far finta di essere una bella persona! Niente da fare, non ci riesco, ed è per questo che ora scriverò di qualcosa di infelice che mi ha colpito.

Sarà una banalità, ma non sempre il personale penitenziario ha un atteggiamento positivo nei confronti della scolarizzazione in carcere. Non parlo della direzione, con cui non ho a che fare, ma degli agenti addetti alla custodia dei detenuti. È come se alcuni di loro non capissero perché le persone recluse abbiano la possibilità, nonostante i reati commessi, di seguire corsi, fare attività, leggere i giornali che la scuola procura loro gratuitamente (esattamente come li procura agli studenti fuori dal carcere).

Una volta, per esempio, un agente ha chiesto a me e a una collega, come fanno molti quando ci vedono passare con i quotidiani, di poter prendere un giornale e nell’afferrarlo ha commentato con sommo disprezzo che quelli hanno pure i giornali gratis, mentre noi… Ecco, io uno che non coglie la differenza tra il poter e il non poter alzare il culo da lì per andare in edicola, che non capisce che lo scontare una pena non può significare costrizione anche morale e abbruttimento su tutti i piani, compreso quello culturale, ecco, io uno così non credo che dovrebbe lavorare in carcere.

E non credo neppure che i Catarella, fuori da una serie televisiva, facciano davvero ridere.

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Di “barolacce”, zucchine e lamenti 1

– Ciao! Che classe fai adesso? – chiedo al figlio maggiore della fruttivendola egiziana, mentre con la coda dell’occhio controllo che il fratellino abbia smesso di compiere atti di bullismo nei confronti del mio cane, legato fuori.

– La quinta elementare! – risponde fiero.

– E dove vai a scuola? – replico, curiosa di sapere se è la stessa che ho frequentato io, decenni or sono.

– Alla scuola B. – fa lui.

– Sì! Scuola B. bella, anche zona bella e maestra brava – interviene la mamma, sorridendo. – Non come quella… La C., dove ci sono tanti bambini bachistani che dicono barolacce! La B. è bella scuola, tanti bambini italiani…

Non so cosa rispondere e resto a guardarla stupita. Stupita non per la frase in sé (quante volte l’ho sentita, mille e mille?) ma per chi l’ha appena pronunciata.

"I will survive" di Luca Di Battista

“I will survive” di Luca Di Battista

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Laurea in lettere e prostituzione, un filo diretto 6

Negli ultimi giorni ho letto due (bellissimi e vendutissimi) romanzi che non c’entrano nulla fra loro eccetto per un particolare: entrambi ruotano intorno a personaggi che sono laureati in lettere. E pure orfani dei genitori, per dirvi le disgrazie.

Nel primo libro, una donna con alle spalle ottimi risultati negli studi e una passione per Fenoglio finisce a fare la escort di lusso nel cuore ricco di Milano, il diploma di laurea incorniciato sopra il water.

E la laurea appesa sul cesso di una ragazza che è finita a fare la puttana, insomma… c’è bisogno di andare avanti?

Nel secondo, un giovane insegnante spagnolo viene licenziato e, per uscire dal pantano della disoccupazione, diventa ballerino di strip-tease e poi prostituto, i libri ben ordinati sugli scaffali e una striscia di coca per farsi coraggio.

E che cosa mi ha condotto fin lì? Non la necessità di guadagnarmi da vivere, ma l’assurdo bisogno interiore di non sentirmi disoccupato.

Questo filo diretto tra la laurea in lettere e la prostituzione – che poi s’annoda intorno a lutti, alcol, droga e moltissimo sangue – mi ha naturalmente colpita. E mi ha fatto sorgere qualche domanda… Gli studi in letteratura sono vissuti come l’inizio della fine da tutti o solo da chi scrive per la Sellerio? Com’è che l’assunto studi umanistici = mancanza di prospettive ha fatto di colpo un balzo in avanti, arrivando alla vendita del corpo, oltre che dei sogni? E ancora: ha più possibilità una persona che ha studiato lettere invece di scienze della comunicazione o lingue di cadere in un abisso di prostituzione, sciagure e atti sanguinosi? Dovrei mica fare qualche indagine sulla fine che hanno fatto i miei compagni d’università?

Qualsiasi siano le risposte, siete avvertiti. Ricordatevi della laurea in lettere, quando cercherete l’ingrediente fondamentale per scrivere un best seller che tocchi il tema della prostituzione. (Per quanto mi riguarda, tranquilli: pensavo di continuare a fare la supplente e al massimo abusare di cioccolato extra fondente.)

le mutande di orso bianco

da “Le mutande di Orso Bianco” di Tupera Tupera


Di plagi, pavoni e potenziamento 1

Prima notizia: i ragazzi hanno scritto un tema. O almeno ci hanno provato.

Ma come che notizia è?! Sapete che cosa significa scrivere un tema in quella classe? No? Be’, neanche quella classe lo sa e infatti è il caos.

Qualcuno poi risolve il problema alla radice, copiando il testo interamente da internet, cosa che all’inizio dell’anno mi offendeva terribilmente (ma quanto credono che io sia tonta?) nonché avviliva (ehm… Dove sono io mentre loro copiano?) e pure scioccava (come possono arrabbiarsi e negare quando la pagina del sito da cui hanno trascritto il tema, senza modifica alcuna, è stampata e pinzata insieme ai loro fogli?!).

Adesso invece sono preoccupata. Non per loro, intendiamoci, ma per me… Per la diffidenza che mi abita: ormai quando trovo una frase di senso compiuto o un riferimento storico o il nome di un monumento scritto in maniera corretta (tipo Big Ben e non Big Bang), apro Google e mi metto a cercare… Proprio una brutta persona! (altro…)


Tranqui, è finita! 2

Non ce l’hanno fatta, Ronf e Monetino. O meglio, ce l’hanno fatta a farsi bocciare. Come loro, l’amica delle Parlo e Sparlo e la giovine che in storia non riusciva a studiare le pagine giuste. Altri invece sono riusciti a passare con debiti e un esame da affrontare a settembre. Non è facile, in certi casi, decidere chi passa e chi no. Accettare che qualcuno sia o non sia fermato. Io non sono d’accordo! Questa ragazza vive un profondo disagio… No, non possiamo bocciarla! si è lamentato invano il collega di religione. P. promosso, ma vi rendete conto?! P. promosso, ma vi rendete conto?! P. promosso, ma vi rendete conto?! ha invece cantilenato la prof di economia, con uno sbigottimento che, onestamente, ha invaso tutti.

Yael Frankel.

Illustrazione di Yael Frankel

Giuratemi che almeno a settembre li fermiamo, se sono impreparati! ha esclamato la collega di inglese. Certo… le ha mentito qualcuno. Ma come certo! ha protestato la sbigottita di economia, dobbiamo bocciarli ora, quando mai l’abbiamo fatto a settembre! Ti sbagli, ha ribattuto il prof di diritto, mi ricordo benissimo, è successo nel mille novecento e… (altro…)