– Ciao! Che classe fai adesso? – chiedo al figlio maggiore della fruttivendola egiziana, mentre con la coda dell’occhio controllo che il fratellino abbia smesso di compiere atti di bullismo nei confronti del mio cane, legato fuori.
– La quinta elementare! – risponde fiero.
– E dove vai a scuola? – replico, curiosa di sapere se è la stessa che ho frequentato io, decenni or sono.
– Alla scuola B. – fa lui.
– Sì! Scuola B. bella, anche zona bella e maestra brava – interviene la mamma, sorridendo. – Non come quella… La C., dove ci sono tanti bambini bachistani che dicono barolacce! La B. è bella scuola, tanti bambini italiani…
Non so cosa rispondere e resto a guardarla stupita. Stupita non per la frase in sé (quante volte l’ho sentita, mille e mille?) ma per chi l’ha appena pronunciata.
Forse dovrei dirle che io ho fatto la scuola C., ma in un altro secolo. Forse dovrei chiederle se è proprio sicura che i bambini italiani non dicano parolacce. O confidarle che le mamme italiane probabilmente racconteranno che sì, nella scuola B. la maestra è brava ma che ci sono troppi stranieri, magari proprio egiziani. E lo racconteranno senza accorgersi che quegli egiziani sono bambini nati in Italia, proprio come i loro figli.
Invece non dico niente ed esco a mettere in salvo il cane, ché ho appena visto il bimbo piccolo prendere in mano una scopa. Me ne vado con la borsa piena di zucchine e la testa pensierosa. Questa signora egiziana che mi saluta sempre con larghi sorrisi e ciao bella! si sente sempre più italiana… Lamentarsi degli stranieri, o degli stranieri più stranieri di te, è un chiaro segno di integrazione, no? (Qui i sociologi si arrabbierebbero: non si dice integrazione, ma interazione o inclusione… Com’è difficile parlare civile!)
Mi viene in mente una pagina dell’antologia che utilizzavo l’anno scorso con i miei alunni stranieri nel corso avanzato di italiano: un estratto di Torino è casa mia di Culicchia.
“L’ingresso, per me che sono figlio di un siciliano arrivato a Torino in treno nell’ormai lontano 1946, corrisponde alla stazione di Porta Nuova. […] Porta Nuova in origine faceva parte della cinta muraria fortificata voluta da Carlo Emanuele I. Demolita dai francesi sotto Napoleone, diventò una stazione tra il 1860 e il 1868. La facciata di Carlo Ceppi e Alessandro Mazzucchetti è larga quasi 130 metri. Vista d’inverno, quando si accendono le Luci d’Artista, sembra una torta nuziale. Ai torinesi però Porta Nuova non piace granché. È piena di brutta gente, come tutte le stazioni. E poi da Porta Nuova sono arrivati in troppi. Prima tutti quei siciliani. Poi tutti quei calabresi. Poi tutti quei napoletani. Poi tutti quei pugliesi. Poi tutti quei marocchini. Poi tutti quei tunisini. Poi tutti quegli algerini. Poi tutti quei senegalesi. Poi tutti quei nigeriani. Poi tutti quei cinesi. Poi tutti quegli albanesi. Poi tutti quei rumeni. Il bello però è che nel corso del tempo, seppure a fatica, anche i nuovi arrivati hanno cominciato a sentirsi un po’ torinesi. E così, i siciliani si sono a loro volta lamentati, nell’ordine, prima per via di tutti quei calabresi e poi per tutti quei napoletani, pugliesi, marocchini, tunisini, algerini, senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. I calabresi prima per via di tutti quei napoletani e poi per tutti quei pugliesi, marocchini, tunisini, algerini, senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. I napoletani prima per via di tutti quei pugliesi e poi per tutti quei marocchini, tunisini, algerini, senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. I pugliesi prima per via di tutti quei marocchini e poi per tutti quei tunisini, algerini, senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. I marocchini prima per via di tutti quei tunisini e poi per tutti quegli algerini, senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. I tunisini prima per via di tutti quegli algerini e poi per tutti quei senegalesi, nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni. Gli algerini, prima per via di tutti quei senegalesi e poi per tutti quei nigeriani, cinesi, albanesi, rumeni… E avanti così. Quanto ai rumeni, aspettano con ansia che a Torino si decida a emigrare qualcun altro: perché loro, gli ultimi arrivati, non sanno con chi prendersela.”
Non so chi siano qui gli ultimi arrivati, se rumeni o egiziani o bachistani. Yemeniti, forse? So, però, che ho voglia di tornare a scuola a conoscere nuove facce e nuove voci. Scoprirne i colori e le tonalità. Negli istituti dove ho lavorato gli ultimi anni c’erano tutte le provenienze della stazione Porta Nuova di Torino e pure qualcuna in più. Avrei voglia di contarle, di vedere chi se la prende con chi. Di ascoltare tante barolacce.
P.S. Sappiamo tutti che al terzo giorno di una nuova supplenza ritratterò, incredula per aver potuto scrivere ho voglia di tornare a scuola, vero?
causa decesso pc, e seguente acquisto di nuovo oggetto tecnologico…ho perso gli indirizzi email che, furba, non ho pensato di salvarmi da qualche parte.
Tra cui il tuo…quando hai modo me lo mandi?