Oggi, Primo maggio, mi è venuta voglia di raccontarvi del mio lavoro così cambiato negli ultimi due mesi. Per farlo, vorrei presentarvi i miei studenti durante le video lezioni. Studenti che compiono gli anni chiusi nelle loro case, che vorrebbero abbracciare gli amici e baciare le ragazze, giocare a calcio o a basket, andare in bici o in moto… Ma non possono. Possono (potrebbero?), però, continuare a studiare. Certo, la campanella non suona più, ma loro, tutte le mattine e molti pomeriggi, dal lunedì al sabato, si siedono di fronte a uno schermo per un’altra giornata di scuola.
Allora, siete pronti a conoscere i miei studenti ai tempi della didattica a distanza?
Innanzitutto, c’è quello con il pigiamino.
Quello che, gli occhi due fessure, ha passato tutta la notte su Netflix, per finire “La casa di carta”.
Quello che è online, ma non con noi: sulla PlayStation.
Quello che sta tutto il tempo a testa in giù perché ha il cellulare in carica.
Quello che ti mostra sempre e solo il gomito. Anzi no: qualche volta, la fronte e il soffitto. La bocca e il mento. Una guancia.
Quello che entra, spegne la videocamera, disattiva il microfono e se ne va. Quello, insomma, che c’è ma non c’è.
Quello che, per sfuggire alla famiglia chiassosa, va a far lezione sul balcone e allora è tutto un risuonare di uccelli canterini e sirene d’ambulanza.
Quello la cui sorella, invisibile ma vicina, avvia un indimenticabile litigio con la sua genitrice, quello che nel frattempo prova a fingere indifferenza, ma che alla fine capitola: “Scusi, profe, vado a chiudere la porta”.
Quello che fa lezione con il fratellino seduto a fianco, che, senza auricolari, guarda lo schermo incantato, come avesse di fronte un acquario di pesci tropicali.
Quello la cui mamma gli gira intorno e vuole dire la sua (“Tanto non mi sente…”, “Ma sì, mamma, ti sente, ti sentono tutti!”).
Quello che sparisce e poi riappare: “Scusi, profe, ho dovuto aiutare mio papà a spostare un mobile”.
Quello che non riesci a sentire per via del baccano: “Scusi, profe, c’è mio zio al piano di sopra che sta facendo dei lavori”.
Quello la cui sorella, mentre noi siamo finiti nei regni romano-germanici, urla un deciso: “Non rompere i coglioni!” e le nostre case di colpo rimbombano di …oni! …oni!
Quello che ti chiede se può andare in bagno e tu gli sorridi, come a dire: “Va be’, dai, non siamo in classe”; quello che va in bagno senza chiedere il permesso e allora ti arrabbi: “Ma avete capito o no che siamo in classe?”
Quello che bestemmia, pensando di aver disattivato il microfono; quello che bestemmia, sapendo di non aver disattivato il microfono.
Quello che non riconosci perché non è un tuo studente, ma un amico di un tuo studente a cui sono stati passati i codici d’accesso.
Quello che personalizza lo sfondo e sembra seduto dentro un’aula vuota o davanti alla nostra scuola. Quello con dietro i grattacieli, il Golden Gate Bridge, l’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. La palma e il mare azzurro, la falce e martello, la scritta “Pornhub”.
Quello bloccato in pose buffe da una connessione ballerina, quello che si sente solo a scatti, quello che entra ed esce, entra ed esce, ma non si arrende mai, quello che se va la videocamera non va il microfono, se va il microfono non va la videocamera, ma di solito non vanno né l’uno né l’altro.
Quelli che proprio il giorno dell’interrogazione hanno problemi di connessione, quelli che durante l’interrogazione leggono la risposta sul libro o in internet, quelli che non rispondono, nonostante il libro e internet.
Quello che, seduto di fronte alla videocamera, ride, fa le linguacce, balla, si dà al pugilato, addenta una mela, mangia lo yogurt, ha gli occhi da tutt’altra parte, vuole entrare nel Guinness dei primati di sbadigli.
Quello che, quando si assenta, lascia al suo posto un orsacchiotto.
Quelli che dopo settimane e settimane, basta: tutti rasati.
Quella a cui il primo giorno di video lezione hanno tagliato per sbaglio i fili della corrente, a lei e a tutto il vicinato. Quella che talvolta dimentica di mandare i codici di accesso e resta in attesa di chi non può raggiungerla. Quella che indossa maglie carine e il pezzo sotto del pigiama.
Quello, quella, quelli che vorrebbero tornare in una scuola fatta di banchi e cattedre e campanelle. Ma non possono. Così stanno sempre lì, seduti di fronte a uno schermo.
P.S. Sulla pagina Facebook di dicebeatrice raccolgo le voci dei miei studenti, presto presto, correte!
Realistico e senza retorica…mi piace
Grazie!