Un tipo come G.


Il mio studente G., classe prima, i primi mesi dell’anno portava con ammirevole ostinazione i libri sbagliati e i compiti fatti, certo, ma della materia del giorno dopo. Poi era tutto incredulità, desolazione, mal di pancia.

Un giorno, per via del solito mal di pancia, l’ho convinto, non senza difficoltà, a farsi offrire un tè caldo (“No, no, non l’ho mai assaggiato!”) e alla fine è tornato in aula soddisfatto, in mano una bevanda al gusto di limone delle macchinette che pareva una delizia.

Un altro giorno, dopo la campanella, mentre sistemava i libri sbagliati nel suo grosso zaino con un’aria particolarmente stropicciata, gli ho chiesto se fosse tutto ok.

– No, profe, non ho dormito stanotte.

– Come mai? Non stavi bene?

– No, è che ho accarezzato il mio cane che abbaiava…

– Ah. Ma tutta notte?

– Eh, per un bel po’… Probabilmente abbaiava a una mosca.

– Ah.

 

Il mio studente G., in questi mesi, ha dovuto adattarsi alla didattica a distanza.

Così, capace che mi chieda via e-mail quando sarà, questa settimana, la video lezione di epica e io debba rispondergli: “Ieri“. Oppure che tenti di entrare nella lezione di un’altra classe, l’ora successiva a quella che avrebbe dovuto seguire.

Soprattutto, il mio studente G. mi invia settimanalmente sue notizie, infilate quasi per caso dentro e-mail brevi e sconclusionate, ma così sconclusionate che di solito gli rispondo: “Non ho capito, caro G.: di chi stai parlando? Perché non metti il soggetto?” Oppure: “Non ho capito: che cos’è successo a tuo papà?”. A forza di non ho capito, caro, ma perché non rileggi prima di inviare, cazzo, ce l’ho fatta. O quasi. Adesso infatti mi invia una prima e-mail breve e sconclusionata e dopo quattordici minuti un’altra, con il seguente oggetto: “Sostituisce ed annulla la precedente“. Il testo è lo stesso, solo un po’ meno sconclusionato.

Ecco, questa è la storia di G., il mio studente che a scuola portava i compiti di un’altra materia e che ora, a distanza, tenta di seguire le lezioni di un’altra classe. Di G., che l’autunno scorso ha assaggiato il suo primo tè caldo e che di notte accarezza un cane che abbaia alle mosche. Che ha imparato a rileggere ciò che scrive non prima, ma dopo aver inviato e allora manda e-mail doppie, brevi e più o meno sconclusionate.

Questa è anche la storia del perché amo il mio lavoro. Qualunque cosa facciate voi, spero che vi capiti di incontrare un tipo come G., prima o poi.

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