La montagna, gli stormi e un’ape che muore 2


Oltre ad essere raggiungibile in bici, la grande scuola dove insegno quest’anno ha ampie finestre che si affacciano su luoghi a me familiari.

Due delle mie tre classi si trovano al piano rialzato, corridoio est, davanti all’indimenticato istituto dove tutto ebbe inizio, molti anni or sono… Ma sì, proprio quello che mi permise di conoscere il favoloso mondo della formazione professionale, indirizzo di meccanica. Questa posizione si fa strategica nelle mattine con qualche stortura, quando mi basta dare un’occhiata fuori e afferrare al volo casso i primi due ricordi figa sugli h’ass mekk inchilà per prendere atto di quale diritta via sia oggi la mia.

La terza delle mie classi sta invece al secondo piano, corridoio ovest, di fronte alle finestre della sala yoga della mia maestra, solo un po’ più giù. Davvero un’ubicazione provvidenziale, questa, perché mi basta posare lo sguardo all’esterno per spegnere il trambusto del momento, consapevole che, comunque vada, prima o poi entrerò nella posizione della montagna e allora sarò forte e alta, sarò molto, molto calma.

Anche i miei allievi, ad ogni modo, guardano fuori.

Una mattina, per esempio, ho visto quelli del piano rialzato accalcarsi davanti alle finestre durante una pausa, lanciandosi sguardi e spintoni d’impaziente attesa. In risposta al mio sguardo perplesso, si sono giustificati con: Scusi profe, stanno uscendo le ragazze! e così ho capito di non essere l’unica ad avere un rapporto speciale con la scuola degli h’ass mekk, che ai loro occhi ha l’inestimabile fortuna di ospitare anche indirizzi tutti femminili.

L’altro giorno invece uno studente del secondo piano, mentre eravamo in bilico tra una locuzione preposizionale e una congiunzione subordinante, ha lanciato un grido di stupore: Profe, guardi, gli uccelli migrano! e tutti allora a contemplare gli stormi d’uccelli neri com’esuli pensieri.

Un attimo dopo, un nuovo grido. D’allarme, questa volta: Profe, aiuto, un’ape mi attacca! Faccio appena in tempo a sospirare un paziente: Apri la finestra, dai, che un suo compagno, nelle mani il grosso libro di grammatica, si precipita alla finestra e con un colpo secco sul vetro stecchisce l’ape e insieme l’atmosfera carducciana d’un momento prima. Mentre io dico: Non ci credo e tutti ridono e qualcuno mi chiede: Sarà mica animalista?, il ragazzo che ammazza le api si risiede, apre il libro e afferma compiaciuto: Non voleva fare grammatica? Adesso possiamo farla. Mi guarda, lo guardo. E capisco perché appare tanto soddisfatto: ha finalmente capito a che cosa gli serve portare a scuola il libro di grammatica. Altro che le parti invariabili del discorso.


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