Archivi annuali: 2012


Settembre, il (non) lavoro 3

Quattro amiche, la domenica. Stessa età, stessa università, ora in città diverse. Come sempre, si parla di un sacco di cose. Di viaggi, per esempio. Di progetti, di crucci, di eventi. Ma anche di quanto, esattamente, è bello il mio vestito a righe o di quanto, all’incirca, è grande la pazienza dei nostri morosi/mariti e se si tratta davvero di virtù o di mera sopravvivenza. Poi ecco, inevitabile, l’aggiornamento sul (non) lavoro.
Tra di noi, una ora ha un incarico che le piace, non fosse che lavora troppo ed è pagata poco e il suo contratto ha sempre una scadenza, accompagnata dal solito monito: “Se dobbiamo tagliare, sei la prima che salta… Perché tu sei sostituibile, non dimenticarlo”. E se a dirlo è l’assuntissima e insostituibile figlia del capo, altrimenti detta La Troia, non resta che crederci.
Un’altra – specializzata in avvincenti stage non retribuiti – ora ripete “chi l’avrebbe mai detto che sarei finita a lavorare in un negozio”, però lo dice sorridendo, perché è un negozio bellissimo e finalmente ha un contratto. Pare mal retribuito e a progetto, ma tant’è. E comunque, “a me piace fare le vetrine”.
Un’altra attende di sapere il calendario delle nomine per scoprire se, quando, dove insegnerà quest’anno. E il giorno delle nomine sarà una giornataccia, ore di nervosa attesa e un solo istante per scegliere una tra le cattedre rimaste, se rimaste.
Un’altra non ha molto da dire, se non che adesso ha tanto tempo libero.
E mentre parliamo di (non) lavoro, giochiamo con la bimba di una di noi, che la vita è più bella dei contratti e c’è addirittura chi fa figli. Parliamo e parliamo, incerte se indignarci o sentirci più fortunate di prima, di altri. Perché, nonostante i moniti dell’assuntissima Troia, si riesce ancora a pagare il mutuo. Perché è bello fare le vetrine e tanti non hanno neppure i requisiti per viverla, la giornataccia delle nomine. Perché non è male il tempo libero e c’è chi è senza lavoro ma anche senza casa o amore o amici.

Punti di vista, insomma.
Ma a settembre quando piove, il (non) lavoro, che fatica.


Il mio amico badante

Mentre corro, la mattina al parco, tutt’intorno la gente gioca si allena piscia cani. E mentre il mio corpo fatica e la mia testa vaga tra ozio e vacanze, lo vedo. Ha ventidue anni, l’Africa nel cuore e sulla pelle, e tre anni di vita lombarda. Non è solo. Sorregge un nonnino malato di Alzheimer, il suo nuovo paziente. Lo fa camminare, piano piano. Il ragazzone nero e il vecchierello bianco, insieme, un passo dopo l’altro, avanti e indietro. Poi la panchina e piccoli lanci con la palla, per allenar le mani. Per un attimo il giovane si distrae e fa qualche palleggio, che alcuni anni fa, in Francia, giocava in  serie D. Eccoli di nuovo in piedi, a braccetto, un passo lento e un calcio alla palla, un passo lento e un calcio alla palla, e ancora e ancora. Poi sulla panchina il nonnino tutto curvo tira il fiato. Più tardi, la carrozzella e il ritorno a casa. L’anziano sarà aiutato a mangiare, a camminare, a riposare, sarà pulito, cambiato, accompagnato. Notte e giorno. Per il giovane, sarà forse fatica forse noia. Ma di sicuro giocherà con i suoi sogni. Li conosco io, i suoi  sogni. E so della sua determinazione, che gli ha fatto portare a termine obiettivi e conseguire titoli, da solo in un Paese estraneo, «perché io sono un grande ragazzo e ce la posso fare». Ce l’ha fatta anche ad accettare che in classe nessuno voleva mai sedersi accanto a lui. Lui che a me tuttora chiede: «Ma davvero la gente qui ha ancora paura dell’uomo nero? Ma faccio paura, io?» Eppure so che ora è contento. Dopo tanto cercare, dopo lavori in nero, dopo il volontariato, le attese e i curricula in tutto il Nord Italia, adesso ha un buono stipendio e un buon lavoro. E se è un po’ duro poco importa, è più duro non averlo, il lavoro, sostiene lui.

Lo chiamo. Si volta. Sorride. «Salut Beatriiis! Lui è il mio paziente… Ma hai già finito?». Ride. Poi torna serio: «E gli esercizi, non li fai?». È un tipo preciso, il mio amico badante. Mi tocca pure fare stretching.


gli aspiranti meccanici, gli esami/3

Le premesse al colloquio finale, naturalmente, sono ottime. Tranqua profe so tutto sono strabravo la tesina l’ho letta sull’autobus, no profe io col cazzo che l’ho studiata, sì profe il discorso lo faccio in italiano non in urdu, tranqua.
Ciuffo medio-basso ma sorriso spavaldo, gli h’ass mekk sono pronti, sebbene non proprio vestiti di abiti seri… Ma chiii profe, io sono un tipo sportivo e vado bene così, ma chiii questi non sono calzoncini corti, arrivano alle ginocchia, calzoncini poi lo dice solo mia nonna! Lo sa che stamattina la mia vecia mi ha chiesto perché non ti metti la camicia e io le ho risposto ma sei fusa non vado mica in discoteca, vado a fare l’esame… Comunque tra poco io non sarò più il suo allievo e lei non sarà più la mia profe, insomma possiamo finalmente uscire insieme, bella storia.
Il via ai colloqui lo dà il sorteggio. Esce la lettera dell’hass mekk che ha appena finito di dire No profe io la tesina non l’ho ancora letta ma tranqua ho tutto il tempo di leggerla mentre aspetto. Naturalmente, prende la notizia di essere il primo interrogato con molta classe – Figli di puttana figli di puttana figli di puttana, dice ai compagni sorteggianti – ma la sua parlantina incanta il presidente e il suo ego stupefacente, come al solito, tramortisce tutti… Certo che ero bravo in stage, infatti volevano tenermi, certo che sono sempre bravo in classe, io sono un leader, ma un leader positivo perché aiuto tutti i miei compagni (soprattutto gli indiani puzzoni analfabeti facce di merda, pensa la profe), però io aiuto e non sono aiutato, per forza, io sono il migliore. La profe ha pure il coraggio di ricordare che nella visita didattica al museo della Grande Guerra ha mostrato un grande interesse (in effetti, era quello che questionava la guida su roie e cecchini e brillava nella competenza di armi). Lui poi ringrazierà, profe sei bellissima, stragentile, ti aspetto fuori dove c’è la tua bici e ti porto a pranzo, ok? (altro…)


gli aspiranti meccanici, gli esami/2

La prova professionale si apre con un accorato discorso del direttore: ragazzi, o si cambia atteggiamento o qui le cose si mettono male: il presidente di commissione si è molto lamentato, ecc. ecc. Naturalmente, gli h’as mekk si mostrano ottimisti: tranqua, certo che saremo bravi, noi siamo sempre strabravi, anzi i migliori. Non solo ottimisti, anche pieni di buone intenzioni: di fisso io ci metto strapoco a fare il mio pezzo e poi aiuto quel coglione del negro, ma come profe non posso aiutarlo, lui mi ha aiutato in inglese, ma come…
L’officina è il loro regno e qui si assiste alla trasformazione. Camice da lavoro, scarpe antinfortunistiche e occhiali protettivi, gli h’ass mekk si posizionano dietro alla macchina, tuffandosi in un mondo altro. D’improvviso eccoli assorti – sì profe tutto bene, solo che non mi piace parlare mentre lavoro – oppure filosofanti: lo cambio ancora un po’ il pezzo, meglio perfetto che buono, alla fine. Comunque non capisco perché non possiamo uscire io e lei, profe, cosa sono 10 anni di differenza, l’età è solo un numero, ci pensi. Mentre la profe ci pensa, gli h’ass mekk si fanno sempre meno seri: profe venga qui vicino alla macchina ho bisogno di un belvedere, lo sa che in stage lavoravo vicino al calendario con le fighe nude, per oggi però mi va bene anche lei vestita. Ma poi, scusi, lei che cazzo ci fa qui che non capisce un cazzo di meccanica? Allora, di tanto in tanto, provano a spiegare: questa è una fresatrice e io ora sto facendo la squadratura di un pezzo cilindrico, figa profe ha visto come parlo, faccio paura eh… Questo invece è il calibro, se vuoi misuro il diametro dei tuoi occhi che sono splendidi, eheheh, pensi che sarò promosso dopo questa frase?
Otto ore d’esame sono davvero lunghe. Per cui a me mi gira il cazzo stare qui tutto il giorno, e poi che stanco e che sete, allora dai profe prendimi una bottiglia d’acqua inchilà, però non ho abbastanza monete aggiungile te, mi raccomando frizzante e non troppo fredda. Per fortuna c’è la pausa pranzo che fa riprendere fiducia e forze, oltre che un deciso aroma al kebab. (altro…)


gli aspiranti meccanici, gli esami

Il clima, come di consueto, è pacato. Ciao profe, se non mi aiuti ti uccido e comunque a me di ‘sto esame frega ‘n casso frega ‘n casso frega ‘n casso! Così annunciano ridendo gli h’ass mekk fuori da scuola, immersi nell’eterno gioco Chi la spara più grossa è un figo. Però il ciuffo, di solito altissimo, oggi è un poco più basso, quasi inquieto nelle provocazioni… Profe, ricordati che io so che bici hai, che auto hai e potrei sapere anche dove abiti, ricordatelo eh, comunque bella la camicia, è uguale alle lenzuola della mia vecia, profe ma lo sa che non ho dormito stanotte lo giuro che non ho dormito, ho perfino riletto le sue cazzo di schede, profe io stamattina sono andato a correre, ero teso lo giuro che ho corso stratanto ero troppo teso figa, profe mi aiuterà vero non so niente, profe è il giorno più importante della mia vita, ti prego aiutami tu. E siccome bisogna giocarselo bene il giorno più importante della vita, la classe degli h’ass mekk entra a scuola urlando, si fa largo tra gli altri studenti urlando, sale le scale urlando, raggiunge l’aula d’esame urlando. E qui un commissario impavido fa fare dietrofront all’intera classe, cacciandola fuori da scuola. Imbarazzante bisbigliano ora gli h’ass mekk, mentre la bidella strepita E l’educazione e l’educazione e l’educazione??! Dov’è il presidente, chiamate il presidente, io li faccio bocciare tutti, qui ci vuole il pugno di ferro…!
Si inizia, finalmente. Sulle note di Questo è un esame, ragazzi questo è un esame, ooohhh questo è un esame, avete capito o no?! Hanno capito, forse. Fanno uno strano effetto, gli h’ass mekk, senza cellulare e cuffie giganti, senza focaccia-pizza-patatine-briochina-biscotti-twix-coca-bottigliadilatte, sembrano quasi nudi. Quasi nudi ma sempre con una discreta faccia tosta, anche nei loro sussurri… (altro…)