Da Napoleone al tramonto… Disagio 2


Tutto ha inizio con me che potrei dormire un po’ più del solito e invece mi alzo presto per preparare l’avventura napoleonica. È l’unico giorno della settimana in cui non entro a scuola alle otto ma quello con il più alto rischio di arrivare in ritardo. Parto in un orario che funziona solo salvo imprevisti. La settimana scorsa ho saltato l’imprevisto passando con luce rossa e barriere in discesa, al passaggio a livello (poi mi sono sentita un vermiciattolo col batticuore per una buona mezz’ora). Questa volta mi tocca un doppio imprevisto e devo fare una lunga deviazione che mi tramuta in vermiciattolo col batticuore dedito ai sorpassi (io che supero! Quando si dice la disperazione!). Davanti a scuola non c’è parcheggio. Dentro, le interrogazioni programmate. Riuscire a non studiare con le interrogazioni programmate a fine anno… Si riesce. Mentre guardo il giovine che con occhi impazziti succhia informazioni dalle note a piè pagine di una poesia che non ha letto, mi domando come io abbia potuto rifiutare un corso intensivo d’italiano con un frate vietnamita a causa di questa supplenza.

Omino pensieroso di Michele D'ambra

Omino pensieroso di Michele D’Ambra

Ed ecco che tutto si fa non. Non mi commuovo a sentire quelli bravi (io che non mi commuovo!), non sono sicura sui voti da dare, non ho tempo di iniziare l’avventura napoleonica, non consegno i compiti perché non li ho ancora corretti (ma non è esattamente quello che dico ai ragazzi). Un’ora e mezza dopo, sto correggendo i compiti. Ma sono a disagio: la collega mai vista alla mia destra li sta leggendo con me. È molto concentrata, tanto che vorrei chiederle se li può correggere al mio posto. Mi piacerebbe sapere però perché non può guardare quelli della prof seduta dall’altro lato. Oppure spiare le conversazioni su facebook della persona davanti. O ancora, dirmi che video sta guardando il signore qualche fila più in là, io strizzo gli occhi ma non capisco. Niente da fare. Lei guarda i miei fogli mentre io guardo le sue scarpe, dei sandali con il tacco alto e sottile, aperti a mostrare le unghie laccate di rosso. Cavoli. Io ho gli stivali piattissimi e non ho ancora lo smalto sui piedi. Questo collegio docenti è appena iniziato ed è già un incubo. Ho caldo, ho sonno, vorrei correggere i compiti e avere i tacchi più alti della mia vicina. Sono a disagio. Anche perché immagino che non dovrei essere seduta in fondo coi maledetti compiti sulle ginocchia e farmi tutti questi viaggi pochissimo seri. Dovrei ascoltare. Allora ascolto.
La crisi economica, la crisi dei valori. Il calo delle iscrizioni. I perdenti posto. I tagli a tutto, anche ai progetti. I pazzi al ministero. I risultati sempre meno brillanti dei ragazzi. Insomma, questa è la situazione più preoccupante mai vissuta e sì che – ricorda la preside – sono in questa scuola dal 1978.

collegio docenti
Forse correggo ancora un po’… La vicina intanto mi passa il foglio delle presenze e anche una penna nera, che io sto usando quella rossa. Poi, insieme a una collega, sfoglia le pagine indicando tutte le firme in rosso. Risolini. Qualche cellulare suona. Risolini. La preside inizia a richiamare, facendo i cognomi. Ehi Ferrari, cosa fa, chatta con la moglie? Viene interrotta causa querelle sulla porta da tener aperta o chiusa. Tutti i presenti meno una sono a rischio soffocamento, ma quell’una è in mezzo alla corrente d’aria. Che fare? Un bel problema.
Decido di mettere via i compiti. Devo ascoltare. Devo interessarmi. Anche se riguardano faccende di un futuro che non mi vedrà presente. Non è vero che sono tutte cose che non ti coinvolgono… Anche se tra poco te ne vai, quando sei nella scuola, ci fai parte. Bisogna crederci. Così mi ha detto un giorno uno che ne sa. E ha ragione.
Adempimenti esami di stato. Corsi di recupero estivi. POF e progetti connessi. BES, DSA, CLIL.

Sto ascoltando. Anche se troppi acronimi mi fanno venire il prurito.
Alcune donne prendono la parola e i toni si fanno vivaci. Una dice la nostra mission e io inizio a sospettare di avere l’orticaria. Sono a disagio. Non solo per vie delle macchie pruriginose sulla pelle. È che non riesco a crederci, alla mission e agli acronimi. Non riesco a non pensare che il mio contratto finisce tra due settimane. E a settembre boh.
Continuo ad ascoltare. Pare che non si trovino docenti disposti a fare i tutor per gli stage estivi. Non ci sono abbastanza volontari per la commissione BES. Bisogna trovarli. La preside fa alcuni nomi, chiede a questo e a quella. Una alza un foglio A4 con stampato in grande: Grazie preside, ma sono davvero oberata. Non posso. Simpatica, la prof oberata. Vorrei qualcuno con cui sorridere, ma sono sola in mezzo a tanta gente. Sono a disagio. Il collega preferito non c’è e io mi faccio i fatti miei. Eppure a scuola ci sono tante persone gentili e sorridenti e disponibili e pittoresche.
Qualcuno se ne va, sono già passate due ore e mezza. La mia vicina blocca una docente che sta passando per regalarle un portamonete che ha comprato in gita a Istanbul. Io mi trovo in mezzo e sono, naturalmente, a disagio.
Ora anche la preside vuole concludere. C’è qualcuno contrario a saltare l’ultimo punto all’ordine del giorno? Non è che poi vi lamentate dicendo che ho violato la norma? No preside, mi violi pure… le risponde un omone dalle ultime file. Simpatico, l’omone. Chissà le battute che ha fatto, quelle che farà. Ma io non c’ero prima e non ci sarò dopo. Nessuno mi regalerà mai un portamonete turco qui dentro.
Voglio andarmene. Credere in qualcos’altro.

tramonto inatteso

Tipo in un tramonto inatteso


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