Pensavo di nuovo alle mie trasferte, agli ultimi viaggi in treno.
A quella sera di stanchezza, quando volevo tornarmene a casa veloce. Bello eh, il corso propedeutico all’esame che mi potrebbe regalare un nuovo, luminoso, perfettamente inutile titolo… Bello sì, ma io, quella sera, avrei voluto essere già a casa e invece dovevo ancora attraversare un pezzetto di regione.
Entro in stazione di corsa, guardo il tabellone: il mio treno sta partendo. Salgo le scale correndo e arrivo al binario: il treno è ancora fermo, meno male. Alzo lo sguardo: dieci minuti di ritardo dice ora lo schermo. Ah. Ho il tempo di percorrere tutti i vagoni di questo treno a due piani, il treno delle sardine pendolari che stanno sedute pigiate pigiate, sopra e sotto. Trovo un posto nell’ultima carrozza, piano terra, accanto a due signore che stanno parlando a bassa voce di tagli aziendali. Tolgo la giacca e l’accartoccio in braccio, apro la borsa, tiro fuori un libro e drizzo le orecchie. Stanno annunciando qualcosa… Il treno partirà con un ritardo di dieci minuti o forse più, ma poiché manca il personale, forse non partirà. Vi consigliamo di prendere il treno che parte alle 18.25 dal binario 12. Le sardine pendolari, sedute pigiate pigiate, si guardano per un istante e poi si alzano. L’intero treno si alza. Insieme. E insieme cerca di scendere e avviarsi in un altro binario, verso lo stesso treno, già quasi pieno. In una grande stazione, poco dopo le diciotto, un intero treno, un altro binario… Non so se mi spiego.
Io ero nell’ultima carrozza e parto svantaggiata, ma mi faccio sardinella rapida e tento i sorpassi, poi non tento più niente e faccio solo attenzione a non cadere… Neanche una sardina desidera morire calpestata dalla folla in marcia in una grande stazione all’ora di punta. Sono moltissimo fortunata, però, trovo addirittura posto a sedere. In prima classe, senza il biglietto di prima classe. Nessun problema, nei momenti di delirio i controllori svaniscono. Anzi, sono secoli che anche quando regna la calma non incontro un controllore… Ma dove sono finiti? Evaporarti, tagliati, spostati, perduti?
Il treno, alla fine, parte in ritardo, zeppo di sardine acrobatiche che per starci fanno i pipistrelli, appesi a testa in giù, là sopra dove c’è più spazio. Sette minuti dopo la partenza, in un’altra stazione, sale ancora gente… Eh già. Trenitalia prestigiatrice, che fa giochi di capienza, Trenitalia generosa che non respinge nessuno… Trenitalia paziente e premurosa, che ci porta traballante a casa, sfatti, scomposti, abbrutiti. Ma, a sorpresa, tutti vivi.
La mattina dopo, prendo di nuovo il treno. Che sfiga! No dai, è una breve tratta, questa volta. Eppure.
Quando salgo, mi accoglie una temperatura tropicale. Inizio, come gli altri, a spogliarmi. Vicino a me siede un gigante che fa il macellaio, davvero, lo diceva al telefono e io mi sento inquieta. Intanto, pezzi di nuda carne si mostrano sempre meno timidi, mentre gocce di sudore si affacciano qua e là… Ma dove cazzo stiamo? Ma chi – chi!!! – regola il riscaldamento?! Io mi rifiuto di arrostire di fianco a un macellaio in una mattina di fine inverno, mentre fuori è già primavera! Fatemi scendereee!!!
Scendo davvero, sono arrivata. La buona sorte! Già ci vedevo, in quel vagone disagiato, tutti nudi in attesa dell’ultima cottura. Io, il macellaio, e gli altri. Nudi, cotti, ma sempre tremendamente vocianti…
– Ciao Peppi’, so’ Rosetta… Allora se ti riesce ad affittare la mia stanzetta con cucina… Gente apposto mi raccomando, rumeni, bulgari… Ma ti ha più chiamato poi? Gliel’ho detto eh, che se lo vedi per strada lo stendi, che lo picchi forte…
– Ciao Danie’, so’ Rosetta… Tuttapposto? Eeeee… chetteddevoddi’? Non han capito che il poco fa tanto, oggi… Ma io ci voglio parla’ con quel buffone del maître…
– Ciao Robbe’, so’ Rosetta… Sto arriva’… Eh vabbè, su… Io so’ libbera, per lo più.
Teneramente reale.
🙂
Per tornare a casa da molto lontano serve un lungo e composito spostamento multiplo in taxi, autobus, volo aereo con scalo, bus shuttle da Fiumicino a Termini… serve infine l’ultimo modesto trenino regionale con cambio a Foligno per arrivare a Perugia.. parte in orario, il suddetto, seppur dal lontanissimo binario 2est di Termini, quello più sfigato di tutti. A tiburtina una voce annuncia che per problemi tecnici il treno percorrerà il cammino lento, per cui si trova con già 30 minuti di ritardo. Un nooooooooo corale, consapevole e rassegnato si leva dal treno gremito del tardo pomeriggio. Tra annunci perentori di non farsi trovare senza biglietto convalidato e di non aggredire il controllore pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, la voce fuori campo avverte che il ritardo è arrivato a 60 minuti.. strano, non ci credo… solitamente il ritardo non supera i 59 minuti entro i quali non si può far richiesta di rimborso.
E infatti i minuti di ritardo sono 70, i cambi persi 2, solo una la Punto di un amico che mosso a compassione mi viene a prendere a Foligno.
Ma stavolta non la passano liscia. Il giorno dopo da affezionata cliente, interessata alla qualità del servizio, mi reco in stazione a chiedere il rimborso che mi spetta di diritto, avendo il ritardo superato i fatidici 60 minuti.
“Signorina, non c’era bisogno di venire fino qui, poteva mandarci una mail… e comunque… non le ridaranno nulla! Da una a due ore di ritardo il rimborso è di solo il 25% del costo del biglietto e solo se questo 25% supera i 4 euro”.
In fondo sono fortunata, Roma – Perugia costa solo 11,60….. e in fondo la temperatura del vagone era davvero gradevole!
Uauuu! 😀 Vale, dopo aver letto le tue peripezie, sono io a sentirmi molto fortunata… Sempre una grande avventura, Trenitalia!
ho viaggiato da bs a Napoli molto bene (anche perché non pagavo io il viaggio) tutto su freccia rossa. Posto prenotato al finestrino, mio compiacimento interiore. Ma subito a fianco e davanti mi si mettono 3 sessantenni di cui 2 in giacca e cravatta, il terzo solo in giacca, ahilui. Gesti precotti intonati al vestito. Subito al cellulare: dicono di parlare a Carlo per arrivare all’obiettivo, che lui incontrerà Augusto che sarà d’accordo, ma sì, vedrai che è d’accordo. E di’ a Cesare di mandarmi subito il file. Poi quasi in contemporanea estraggono i computer e si buttano alla presa sotto il tavolo, mi toccano le gambe e neanche si scusano, essendo io un paria in maglione color sciapo. Si mettono freneticamente al “lavoro” sapendo che l’ozio è il padre dei vizi. Mi guardo intorno: dalla parte opposta del vagone altri 2 “lavorano” mentre due ragazze sedute vicino, in pieno complesso di inferiorità, manovrano i loro cellulari. Mi prendo dalla borsa un libro:”il nemico è internet” di Assange, e me lo godo assieme al paesaggio. Ora l’accerchiamento mi rende claustrofobico. Come ogni città assediata tenta una sortita, così con gaia educazione dico al vicino di farmi passare. Teoricamente dovrei andare al cesso, quando invece voglio solo rompergli le palle pur sapendo che ne è deprivato dato che riesce tenere così stretto tra le cosce il tappetino col mouse. Però deve staccare la spina, ruotare su se stesso abbracciato al computer, abbrancare il mouse che sta cadendo, non parla, non guarda. Poco dopo ritorno e lo costringo allo stesso lavoro. Penso a Clooney tagliatore di teste in “tra le nuvole” (credo sia il titolo), a quel ragazzotto che si imbarca a caccia di Moby Dick e passa la notte prima della partenza nella stanza di una locanda con un cannibale, al delitto sull’Orient express. Penso anche a grandi rivolte della storia, Spartaco contro i romani ecc. Meglio il carnaio o l’alienazione? meglio una molotov col suo profumo di benzina?
Meglio concentrarsi su Assange e il paesaggio, nell’attesa di Napoli… Ed essere molto zen, nonostante l’accerchiamento! 🙂