Io, lui e la bionda


– Tu sei pazza! – ha esclamato mia mamma, sconcertata, quando le ho chiesto se lei e mio papà ci avrebbero tenuto il cane per una settimana.

cagnolotta

– Io te lo terrei anche – ha sospirato, più tardi, mio papà – è che in ambulatorio proprio non la fanno entrare

– Magari la prossima volta – ha dichiarato con garbo la mamma di Gianpazienza.

– Fosse stato solo per tre giorni! – ha affermato, partecipe, mia zia.

Niente da fare. La famiglia non ci stava. Al nostro amico dog friendly non abbiamo osato chiedere: aveva già dato un mese e mezzo prima e mica si può abusare.

Eppure ci era sembrata un’ottima idea accogliere l’invito della cugina di Gianpazienza a raggiungerla a Creta agli albori dell’estate, quando il Mediterraneo ancora non è ressa e caldo feroce, e non ci era parso uno scoglio così alto, in quel felice quadretto marittimo, piazzare il cane ai nostri cari… E invece.

Pensa e ripensa, decidiamo di chiedere alla sua allevatrice, che si mostra disponibile. È fatta.

Il giorno prima della partenza, imbocchiamo la via del lago. Il sole scintilla, la bionda sbava, Gianpazienza inveisce contro i ciclisti della domenica e io, lo stomaco in piroette, mi faccio sempre più verde, ché dopo il lago ci sono quindici minuti di tornanti. In cima al tortuoso strazio, ecco il paradiso della Signora delle Genealogie, con prati e abbai e montagne tutt’intorno. Lei ha preparato la suite vista lago per il nostro cane e intanto si rallegra per il bel carattere (tutto sua bisnonna) e ci rassicura sulla compagnia (starà con sua mamma e sua zia, anzi no, la sua sorellastra) e poi ci parla dei maschioni suoi cugini, un po’ grezzi eh, non vorrei che la spintonassero e mentre lei parla di genealogie e io mi preoccupo per questa storia dei maschioni grezzi, la bionda si siede e ci guarda, come a dire: Andiamo?

andiamoFinisce con lei che tenta di uscire dalla suite insieme a noi e noi che la ricacciamo dentro, lei che ci riprova e noi che le chiudiamo la porta sul muso, lei che ci guarda allontanarci e noi che la guardiamo restare ferma a guardarci, lei che non si muove e noi che ci muoviamo, ma talmente a malincuore.

Arrivati silenziosamente al lago, ci fermiamo un momento per due passi e una piadina, ma Gianpazienza non si dà pace e continua a chiedermi che ore sono, come le bambine rompine della sua biblioteca, che ore sono?, che ore sono?… Alla fine sentenzia:

– Ok, è passata un’ora, possiamo andare a riprenderla.

Io allora mi arrabbio e gli dico:

– Ma basta! Smettila! Anche lei è in vacanza e sarà felicissima in mezzo a tutti quei parenti… Dai, eh!

Poi salgo in auto, faccio zapping nevrotico alla radio e mi addormento, nelle orecchie Où t’es, papa où t’es? Mi sveglio che siamo quasi arrivati a casa e c’è quel trasportino vuoto dietro di me e Gianpazienza a fianco che tace e… Quando spegne l’auto, io lo guardo e scoppio in lacrime:

– Portami subito da lei! – piagnucolo.

Lui mi risponde, testuale:

– Sto cazzo! Me lo dici adesso che mi hai fatto tornare a casa? Guarda che ti lascio qui.

E insomma passiamo uno strano pomeriggio, la casa piena di peli biondi, ma nessuno che fa la pantofola pancia all’aria e il frigo che quando lo apro nessuno accorre con sguardo supplice. Nessuno ad infilarsi dentro un nostro bacio. Siamo così in due, io e Gianpazienza, dopo tanti mesi.

pantofolaAlla sera ci consoliamo con una pizza e a un certo punto, nella veranda della pizzeria, entra un ragazzone rasato abbronzato imbellettato con due fanciulle asiatiche e un grosso cane giapponese e io scalpito di nostalgia, e sì che non siamo ancora partiti, e allora chiedo al titolare se anche noi potremo portare la nostra bestia, la prossima volta.

– Qui i cani sono benvenuti, solo i rompicoglioni non facciamo entrare! – risponde lui, allegro.

Va be’. La prossima volta la portiamo. Intanto domani è un altro giorno, domani si parte!

Appena atterrati in suolo ellenico, Gianpazienza ha già perso, insieme al cellulare, la pazienza, e abbaia:

– Ma cosa mi succede?! Non mi riconosco più, faccio cose così da te ultimamente!

E poi:

– Basta con questa mania degli aerei! Te l’ho detto che dobbiamo prendere il furgone, no ma quest’anno io lo prendo e se poi vorrai venire in vacanza con noi, fai pure…

(- Con noi chi, scusa?

– Con me e il mio cane, no?)

A casa della cugina, a lenire le nostre pene, abbiamo trovato un’altra bionda simpatica quasi quanto la nostra cagnolotta, ma a forma di bimbetta col sorriso a quattro denti, e fuori brezza di mare e bellezze mediterranee. Gli ulivi, gli oleandri, le terrazze e poi le fortezze veneziane, le spiagge bianche e quelle rosse, le grotte dove Gianpazienza vorrebbe portarmi a vivere (per chiamarmi finalmente Wilma) e ancora, quei sapori gustosi, ma così gustosi che io mi sono strutta su ogni pomodoro e oliva e melanzana che ho incontrato sulla mia tavola. Mentre io scoprivo, Gianpazienza riscopriva (era già stato negli stessi luoghi anni prima con la sua ex) (no ma io mica gliel’ho fatto pesare) (mica gli ho detto frasi poco eleganti tipo: Ah quindi l’altra volta è stato meglio…) e insieme abbiamo fatto considerazioni e progetti e analisi comparate (che lui, ispirato, concludeva di solito in poesia: Certo che in Lombardia sono proprio dei figli di puttana).

Si sa, però, che il tempo vola e in un attimo ci siamo ritrovati sui maledetti tornanti a chiederci: Chissà com’è andata, se è stata bene, ma non troppo bene eh che io ci rimango male, chissà se sarà felice di vederci… Ma eccola! È laggiù, con la cugina nera, che salta sulla rete della suite e guaisce, ma quante feste, ma quante corse! Una piccola pausa per due stronzellotti di pura gioia e poi di nuovo corse e feste e in un balzo è in auto, lei che la odia.

Ancora un po’ e saremo a casa, io, lui e la bionda. Lei si farà a lungo coccolare, lui a cena, di colpo, sbotterà: Porco cane, mi ha leccato l’allucce! e quando ci sembrerà di essere vicini vicini al lieto fine, lei, spalmata placidamente sotto il tavolo, scoreggerà.

Ah… Casa dolce casa.

casa dolce casa

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