famiglia


11. E la mamma?

E la mamma? Perché è stata finora villanamente negletta?

Il fatto è che mi risulta difficile inserirla in Beatrice e altri animali a causa del suo rapporto con gli animali. Un rapporto inconsueto, diciamo. Gli animali infatti possono pure occupare abusivamente il divano (il mio cane) o cuocere in un’ampia casseruola (la gallina ripiena), ma proprio non riescono a suscitarle interesse. Poveretti. Fossero una poesia, una pianta, un caffè macchiato avrebbero di certo più fortuna.

Mia mamma, la prima volta che ha visto il nostro cane – una creatura del tutto aliena, ai suoi occhi – è rimasta così scioccata che si è dovuta sedere, ammutolita. Quando ha ripreso l’uso della parola, mi ha chiesto, l’aria stravolta: “Ma adesso dove va a vivere?” (Non so, mamma, con me e Gianpazienza? O vogliamo affittarle un appartamento?).

Anche sul piano cibo, tenta di mantenere una cauta distanza: nonostante le rimostranze del coniuge (le proteine!), i suoi piatti arcobaleno sono quasi sempre sguarniti di carne. Il pesce, poi, non parliamone: lo assaggia solo se le giurano che sa di formaggio.


10. Di nuovo il topinambur 4

Non si perdono famiglia e amici diventando vegetariani. Né vegani, mi auguro. Inizialmente, però, si può suscitare qualche perplessità.

Prendete la mia amica G., fervente carnivora. All’inizio si è arrabbiata per la mia decisione, che giudicava un’immotivata rinuncia solo per via di Gianpazienza, ma se n’è fatta presto una ragione e ha continuato a invitarci a cena o a venire a cena da noi. Certo, per un lungo periodo ci ha maledetti per lo stress che le causavamo quando eravamo suoi ospiti (e adesso cosa diavolo cucino?!) e ha tremato quando era lei l’ospite, chiedendosi se le sarebbe toccato di nuovo il topinambur. Ma siamo ancora care amiche.

Mio papà, invece, ha provato a metterla sul piano della salute, sgridandomi: “Un po’ di carne fa bene! Le proteine!”. Niente da fare, ha dovuto arrendersi ai legumi e mettere in tavola pasta e fagioli o falafel. Per qualche tempo, però, mi ha messa alla prova, offrendomi piatti banditi dalla mia dieta. Un giorno, al telefono, la svolta:

– Ciao papi, come va?
– Bene. Pensavo di fare il filetto al pepe verde stasera, vuoi venire?
Un attimo di silenzio e stupore da parte mia.
No, grazie. Ma se vieni tu da noi, ti faccio lo stufato di seitan.
Un attimo di silenzio e stupore da parte sua.
– Ah ah ah! Il seitan! Ah ah ah! Satùt-de-Cartòn! Ah ah ah!

Da allora mi lascia tranquilla (ma mi ha chiamata per un bel pezzo Germidi Soia).

P.S. Non so cucinare lo stufato di seitan… O meglio, non ancora: sono nella fase tempeh! 😉


5. Tra noi non funzionerà 2

Insomma, fino a un certo punto, io amavo mangiare la carne e il pesce. Poi è arrivato lui. Sì, proprio lui!

Quando, in qualche giro insieme, giungeva fino al nostro naso aria di carne, io dicevo, d’allegrezza piena: “Mhmm, buono!” e lui diceva, con pacata gravità: “Sento odore di cimitero”. Quando si avvicinava l’ipotesi di una grigliata, io mi leccavo i baffi e lui tirava dritto.

Proprio un tipo strano, Gianpazienza.

La prima volta che mi sono detta tra noi non funzionerà è stata quando ho visto mio papà, come di consueto a Natale, indossare i guanti e preparare i suoi strumenti da chirurgo per aprire, svuotare, imbottire, ricucire una gallina ruspante.

Tra noi non funzionerà, ho pensato, perché lui non mi cucinerà mai a Natale una gallina ripiena.

 


3. Puntare tutto sulla polenta

Per via di quell’appetito apparentemente implacabile e del motto paterno non puoi dire “non mi piace” se prima non l’hai assaggiato!, ho mangiato carne di diversi tipi e mai che visualizzassi l’animale da cui era stata ricavata. Al massimo ragionavo sul suo gusto e sulla possibilità di fare il bis.

Un giorno, ho mangiato la polenta con gli uccellini, ché dalle mie parti si usa così, ma gli uccellini avevano una tale aria da uccellini che ho preferito puntare tutto sulla polenta.

Una sera, grazie al mio coinquilino francese, ho assaggiato le rane, dal rassicurante sapore di pollo, e per far piacere a mia nonna qualche volta mangiavo le lumache in umido, così terribilmente viscide. Mi piaceva la carne un po’ selvatica di coniglio e pure quella di cavallo. Il petto di pollo al latte e il panino con la salamina.

Non mi piaceva invece staccare la testa ai pesci, che avevano quegli odiosi occhietti neri immobili, e litigare con le lische.


2. Tra i piatti più significativi

Tra i piatti più significativi della mia infanzia, ricordo: gli strozzapreti con salsiccia in un ristorante nell’entroterra romagnolo, la faraona arrosto o la gallina ripiena a Natale, cotechino e lenticchie a Capodanno; in pizzeria la capricciosa, a cena il salame nostrano, ma solo una fettina. Con gli zii, qualche volta, la fondue bourguignonne.

Piatti significativi perché avevano il sapore di un rito familiare.

Non che mangiassimo solo carne, in famiglia. Anzi. Mio papà aveva una relazione amorosa con l’insalata riccia, mia mamma si faceva giganteschi piatti arcobaleno e io e M. eravamo quel tipo misterioso di gemelli che si mostrava entusiasta perfino davanti a un cavolfiore. Avessimo potuto scegliere, però, ci saremmo nutriti esclusivamente del nostro gelato del cuore: la mattonella.

Avevamo una dieta onnivora. D’altronde, mangiare un po’ di carne è normale, naturale, perfino necessario… O no?