famiglia


Chicca #38

– Lasciamo stare la storia dei profughi, profe… Quando ne parlano alla televisione, mio nonno inizia a dire: “Barboni! Tornate a casa vostra!”

– E tu cosa fai, quando lui dice così?

– Io gli dico: “Nonno, non fare il nazionalista che finisce male!”

 


13. Tutto bene, quindi?

Riassumendo: vivevo spensieratamente onnivora finché mi sono imbattuta in Gianpazienza; con lui sono nate le domande e le intenzioni, con il nostro cane le intenzioni sono diventate fatti; l’amica G. e mio papà si sono arresi al mio vegetarismo, mentre mia mamma è ancora alla ricerca del prezzemolo, che dovrebbe essere dappertutto e invece a casa dei miei genitori non c’è mai. Tutto bene, quindi?

Tempo fa ho letto un libro – Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche – che ho trovato straordinario e mi ha straordinariamente assillato già dal titolo.

Dunque, Beatrice – ho iniziato a trepidare, gli occhi ancora fissi sulla copertina. Tu ami i cani, NON mangi i maiali MA indossi le mucche. Tu NON mangi le mucche MA le indossi. Possiedi scarpe, borse e pure una giacca di pelle, morbida e deliziosa. Ti sei mai seriamente chiesta da dove viene quella pelle, morbida e deliziosa? Sarà morto di morte naturale, il tuo bovino? O gli è preso un accidente? Beatrice! Pensi che i suoi familiari abbiano dato il consenso alla donazione dei suoi organi per uso umano? E a proposito di mucche, vogliamo parlare del cappuccino che bevi tutta giuliva la domenica mattina, nel bar della piazzetta? Sentiamo, a chi era destinato quel latte nel cappuccino? Alla tua colazione? Ma Beatrice!

Cazzo, il cappuccino. Anche il cappuccino!


12. Il dramma del prezzemolo

Se mia mamma non trova interessante interagire con un animale, anche solo mangiandoselo, figuriamoci se le viene in mente di cucinarlo. Qualche volta, in realtà, lo faceva perché, come più o meno tutte le donne di questo prevedibile mondo, era lei a farsi carico nel quotidiano del sostentamento di figli e consorte. Per la maggior parte dei piatti pescecarnecomposti, però, era coinvolta in qualità di assistente chef del suo sposo. Un ruolo scomodissimo.

Immaginate il giorno e la notte in cucina; l’uno è lo chef e approccerà una ricetta con elevatissimo rigore scientifico, l’altra, l’assistente, giudica da pusillanime il solo pensiero di leggere fino in fondo la lista degli ingredienti. Quello che capiterà, a un passo dal traguardo, è:

– Adesso aggiungiamo il prezzemolo – dichiara lo chef
– Prezzemolo? – si stupisce l’assistente
– Sì, il prezzemolo! Non dirmi che non c’è il prezzemolo…
– …
– Avevi detto che c’era! Che avevamo la casa piena!
– Ma sì, sarà in freezer…
– In freezer?! Fresco, ci vuole il prezzemolo fresco! Tu sei matta!
– Non fare il pusillanime! Cosa vuoi che cambi se…
– Il prezzeeeeeeeeeemoooooooooooloooooooooooo!!!


11. E la mamma?

E la mamma? Perché è stata finora villanamente negletta?

Il fatto è che mi risulta difficile inserirla in Beatrice e altri animali a causa del suo rapporto con gli animali. Un rapporto inconsueto, diciamo. Gli animali infatti possono pure occupare abusivamente il divano (il mio cane) o cuocere in un’ampia casseruola (la gallina ripiena), ma proprio non riescono a suscitarle interesse. Poveretti. Fossero una poesia, una pianta, un caffè macchiato avrebbero di certo più fortuna.

Mia mamma, la prima volta che ha visto il nostro cane – una creatura del tutto aliena, ai suoi occhi – è rimasta così scioccata che si è dovuta sedere, ammutolita. Quando ha ripreso l’uso della parola, mi ha chiesto, l’aria stravolta: “Ma adesso dove va a vivere?” (Non so, mamma, con me e Gianpazienza? O vogliamo affittarle un appartamento?).

Anche sul piano cibo, tenta di mantenere una cauta distanza: nonostante le rimostranze del coniuge (le proteine!), i suoi piatti arcobaleno sono quasi sempre sguarniti di carne. Il pesce, poi, non parliamone: lo assaggia solo se le giurano che sa di formaggio.


10. Di nuovo il topinambur 4

Non si perdono famiglia e amici diventando vegetariani. Né vegani, mi auguro. Inizialmente, però, si può suscitare qualche perplessità.

Prendete la mia amica G., fervente carnivora. All’inizio si è arrabbiata per la mia decisione, che giudicava un’immotivata rinuncia solo per via di Gianpazienza, ma se n’è fatta presto una ragione e ha continuato a invitarci a cena o a venire a cena da noi. Certo, per un lungo periodo ci ha maledetti per lo stress che le causavamo quando eravamo suoi ospiti (e adesso cosa diavolo cucino?!) e ha tremato quando era lei l’ospite, chiedendosi se le sarebbe toccato di nuovo il topinambur. Ma siamo ancora care amiche.

Mio papà, invece, ha provato a metterla sul piano della salute, sgridandomi: “Un po’ di carne fa bene! Le proteine!”. Niente da fare, ha dovuto arrendersi ai legumi e mettere in tavola pasta e fagioli o falafel. Per qualche tempo, però, mi ha messa alla prova, offrendomi piatti banditi dalla mia dieta. Un giorno, al telefono, la svolta:

– Ciao papi, come va?
– Bene. Pensavo di fare il filetto al pepe verde stasera, vuoi venire?
Un attimo di silenzio e stupore da parte mia.
No, grazie. Ma se vieni tu da noi, ti faccio lo stufato di seitan.
Un attimo di silenzio e stupore da parte sua.
– Ah ah ah! Il seitan! Ah ah ah! Satùt-de-Cartòn! Ah ah ah!

Da allora mi lascia tranquilla (ma mi ha chiamata per un bel pezzo Germidi Soia).

P.S. Non so cucinare lo stufato di seitan… O meglio, non ancora: sono nella fase tempeh! 😉