La seconda settimana tra gli aspiranti ragionieri si è aperta, di nuovo, sotto il segno di una notte tormentosa. Perché non apriamo un’azienda agricola, Gianpazienza? Io la dirigo e tu lavori i campi… Dai Gianpazienza, apriamola domani, ti prego domani. Macché. Già dormiva. Siamo restati svegli solo io e i miei forse odoranti catastrofe. Forse andrà via l’elettricità in tutto il mondo, come in Revolution, e io potrò mollare gli aspiranti ragionieri perché costretta a battagliare… Forse la lavastoviglie che adesso sta facendo un gran baccano esploderà. Forse domani qualcuno mi chiederà dov’è la Vestfalia e io inventerò, come al solito. Forse…
Al mattino non è più tempo dei forse, ma di sbadigli, caffè e l’auto puntata verso la foschia della campagna piatta e un po’ imbiancata. Mentre guido, invoco: Trattore, te ne prego, svolta che non sono capace a superarti, trattore svolta, non posso arrivare in ritardo… Sto correndo dalla banda dei nulla facenti, io!
Il nulla facento, ormai è risaputo, è una creatura del Grande Sonno, potenza imperante in tutte le classi del globo. Tra i 16 e i 18 anni, è difficile scampare al suo influsso. Difficilissimo avere l’intelletto lustro e un’espressione sensata tra i banchi di scuola, a quell’età.
Comunque. Questi gli aggiornamenti. Nella classe dei più o meno diciassettenni, io non insegno. Io gioco a squash. Loro sono il muro, la mia voce la pallina. Di solito funziona così. Apro la bocca, alzo la racchetta, lancio una domanda e boing! mi torna indietro e ahi! ahi! proprio nell’occhio, che male! Allora riapro la bocca, risollevo la racchetta, lancio la risposta e boing!, rimbalza di nuovo e ahi! mi ribecca in testa… Proprio divertente giocare a squash. Stradivertente. Ma è un muro gentile, il mio. Mi dice sempre buongiorno. E quando, alla prima ora, chiedo di mettere via gli altri quaderni, il mezzo muro intento a copiare i compiti delle lezioni dopo, gentilmente sbadiglia: La prego profe, ancora due minuti, la prego solo due minuti… Quando poi metto fuori uso il registro elettronico, un angolo di muro si alza strofinandosi gli occhi e mi aiuta a sistemarlo. Allora non lamentiamoci, eh. Mentre il mondo lavora, io infilo scarpette celesti e gioco a squash contro un muro gentile, lanciando una pallina che farnetica di Illuminismo. Proprio così…
La classe dei più o meno sedicenni, invece, è tutt’altro genere. Sembrano vivi, là dentro. Vivi e Senza Filtro. Il Senza Filtro è parente stretto del Grande Sonno Intellettivo, non so se mi spiego. Lascia a casa il filtro della ragione ed entra in classe dicendo: Eh ma sapete cosa mi ha detto stamattina quel cretino, no profe, come non importa, ascolti anche lei… Quel cretino mi fa: “Vecio, ieri mi sono fatto una tipa straubriaca, ma così ubriaca che forse riesci a fartela anche te…” No ma sto male… Eh già, fanno grandi conquiste, i Senza Filtro. E non vedono l’ora di sventolarle. Poi intavolano lunghe querelles metafisiche, la cui portata viene svelata – senza il filtro del pudore – con domande quali: Profe, ma con quante p si scrive “soprattutto”? Perché “nell’ambito” ha l’apostrofo, se è maschile? Ma chi ha scritto questo aborto di frase? I Senza Filtro giurano pure: Non (gnam) stiamo (groan) mica (crunch) mangiando (slurp), sputando pezzi di Fiesta tutt’intorno. E se entrano in classe venti minuti in ritardo è perché tutti i bagni della scuola sono chiusi, eccetto uno, che purtroppo è molto ma molto ma molto lontano.
I Senza Filtro, comunque, di tanto in tanto partecipano. Davvero. Quando non parlano, non mangiano, non chattano, non russano, io parlo e loro mi guardano. Solo che lo fanno con la stessa aria di Gianpazienza, certe volte.
Sì, quell’aria che io gli abbaio subito: Ehi tu! Chevvuoi? Quell’aria che lui fa: Niente. E poi aggiunge: Ti guardo con curiosità. Che è – si sa – la stessa frase pronunciata dalla gente di fronte alla foca ballerina al circo o ai beluga che prendono a testate la vasca dell’acquario. La stessa frase, la stessa aria. Ma gli aspiranti ragionieri, nonostante quell’aria tu chi sei, una foca o un beluga?, capita che mi stiano a sentire. E chiedano, con mia grande emozione, delucidazioni o conferme. Nella loro lingua, certo… Quindi profe, Dante era un malcagato?