Quando un cane ha fatto il suo ingresso – giallo e gioioso – in casa nostra, il mio disagio si è fatto sempre più pungente.
Guardavo la bestia pancia all’aria e mi tormentavo: mentre lei è qui che fa la principessa sul divano, quanti maiali sono diventati prosciutti? Quante mucche, proprio in questo istante, percorrono il condotto verso la sala di macellazione, magari pungolate elettricamente? Quante aragoste sono buttate vive nell’acqua bollente? Perché questo cane è diventato subito un compagno di vita e d’affetto e la gallina continua ad essere il mio cibo di Natale? Perché ci struggiamo davanti ad ogni gatto gattino che incontriamo e a Pasqua mangiamo il capretto o l’agnello? Non sono tutti animali? Tutti uguali? Perché non hanno per noi pari dignità? Perché le cose stanno così?
Non ho trovato risposte convincenti.
Non posso abbandonare il cane in autostrada per continuare a mangiare in pace la famosa bistecca, mi sono quindi detta. Non posso neppure mangiare il cane per sentirmi più coerente, ho continuato tra me e me.
Ed è così che sono diventata ufficialmente, completamente, serenamente vegetariana.