Un frate di tre cotte (3)


Mai avrei immaginato di trovarmi, una sera, in un centro commerciale ad arrancare dietro a un piccolo frate con gli occhi a mandorla e il passo velocissimo, nella vana ricerca di un vestito da Babbo Natale di buona qualità. Quello che Fra Mandorla già possiede è di un tessuto sintetico scadente: ogni volta che si siede si strappa, ogni sera a ricucirlo.
Mai, d’altronde, avrei pensato che Natale potesse essere un periodo così stressante per il mio frate, che ogni giorno, per tutto il periodo natalizio, è stato mandato ad animare le feste nei reparti dei malati con tanto di barba bianca, occhialoni neri, vestito rosso e sacco in simil juta.

12735128-babbo-natale-indossa-occhiali-da-soleE poi mangiare e bevere con i pazienti, e poi le messe, e poi il rinfresco con il personale dell’ospedale, mangiare e bevere ancora. Morale, Fra Mandorla nell’ultima settimana si è presentato a lezione sempre più distratto da questioni irrisolte con le bolle (i palloncini) e un vestito che non gli permette di sedersi, sennò – trac! – lo fa restare chiappe al vento. Con me si fa serio serissimo e lascia il suo sorriso fuori, nascosto dentro il sacco di Babbo Natale, pronto a uscire spumeggiante davanti a ogni malato che incontra. Per qualche ora, penso io, si riposa da questo suo ruolo di allietatore di esistenze sghembe. La mia vita è molto semplice – mi spiega, quando gli chiedo come ha trascorso la giornata. – Io faccio le cose bene per gli altri: io mi apro alla vita e loro sentono gioia e felicità. Fra Mandorla, in effetti, saluta i malati con tono da piroette, mentre quando siamo soli si ripiega in un stato tutt’altro che spensierato. Io non posso parlare bene – mi ripete preoccupato – io non posso capire tutto in reparto, neanche posso capire tutto a tavola con confratelli. Italiano non è facile come gioco da ragazzi, io devo superare fuoco, io devo fare salto nel buio. Io qui ho sempre mani legate: non è facile italiano. Mi racconta poi che è molto occupato e non ha tempo di sentire la mancanza della sua famiglia, della sua terra; mi dice che non sa niente del futuro che l’aspetta: adesso sono qua, domani non so. Io devo ubbidire a superiori. Aggiunge che i malati hanno molti problemi e che la vita è fragile: io ho visto tanta gente morta. Ma perché, chiedo io, scegliere di farsi frate? La sua risposta suona semplice e sicura: per stare vicino a Dio e per aiutare i malati. Poi replica: cosa tu pensa di religione? Tu studiavi religione in università? E in scuola? È curioso di me quanto io di lui, un’italiana non credente deve apparirgli sorprendente almeno quanto lo è ai miei occhi un giovane frate con gli occhi a mandorla che inizia una frase con io sto come cacio su maccheroni e la conclude con io faccio orecchie da mercato. Per questo ci questioniamo con interesse. Quanti cristiani ci sono nel tuo paese? E quali sono le altre religioni professate? Quanti gli atei? chiedo io. Tu abbia matrimonio ma senza messa, quando tu abbia matrimonio? Un anno, due anni, tre mesi? chiede lui. Poi arriva la pausa caffè, che io prendo amaro e lui dolce (la vita è così: dolce e amara) e le parentesi multimediali per la mia rieducazione: il video di una ragazza orientale che canta di Dio e ninfee (si dice che vita è come ninfea sul fiume), il video dove bellissime donne che indossano collane si alternano a bellissime suore che indossano rosari (la vita è così: c’è signora che piace collana e suora che piace corona) o il video con tizio incappucciato che disegna su una grande lavagna la faccia di Gesù, accompagnato da una colonna sonora decisamente infervorante (Jesus, king of glory, king of kings, my king…).
Prima dei saluti finali – ché il corso è alla fine – le foto con lui e le suore indiane, i sorrisi scampati al suo stress di Natale e un piccolo dono. Io a lui, un libro. Lui a me, una confezione rossa natalizia… Profumo, dice. Doccia-shampoo e deodorante Intesa Pour Homme, leggo. Per un uomo vincente. Per l’uomo vincente che c’è in me!

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