Procedo rapida verso l’uscita e già sento sulle guance la carezza fresca della libertà, quando il mio passo rallenta: davanti a me, ecco un mio ex alunno che, bocciato l’anno scorso all’Itis, ora frequenta il professionale. La sua bocciatura, di cui sono stata complice, è un cruccio ancora vivo, ma è una storia lunga e non ve la racconterò.
Lo fermo, lo saluto e gli chiedo come sta. Mi dice bene e mi racconta delle sue ultime prove e dei voti buoni che ha preso. Gli domando come va con i compagni, se ha fatto amicizia. Con alcuni sì, mi risponde. Ma ho fatto anche a botte, aggiunge. A botte? replico.
Mi spiega che un pomeriggio, per strada, è stato avvicinato da alcuni ragazzi della scuola che volevano picchiarlo: lui era da solo e loro in sette. È scappato ed è riuscito a ripararsi a casa di un suo amico, che abita lì vicino.
˗ Ma ne hai parlato con qualcuno qui? ˗ lo interrompo io.
Lui mi guarda come fossi una marziana e prosegue, paziente:
˗ Ma no, profe… Se facevo così, non era più finita. Il giorno dopo a scuola sono andato da loro e gli ho detto: “Va bene, ci battiamo, ma uno contro uno”.
˗ Quindi, per risolvere la cosa, hai fatto a botte con uno di loro?
˗ Sì.
˗ Ah. Com’è finita?
˗ Bene.
˗ E ora?
˗ Mi lasciano in pace.
Taccio un momento, mentre il mio ex alunno dà chiari segni di volersene andare. Mi domando se sia il caso di parlarne subito con qualcuno, magari il preside la vicepreside il coordinatore la psicologa il carabiniere… Poi cerco una cosa intelligente da dirgli. Come sempre, non la trovo. Mi chiedo quindi cosa farebbero il preside la vicepreside il coordinatore la psicologa il carabiniere al mio posto. Boh. Non mi resta che improvvisare:
˗ Non è che potrei darti il mio numero? Così, se hai problemi, mi chiami.
˗ Va bene, ma non ho qui il cellulare per segnarlo ˗ risponde lui, tranquillo.
A quel punto sono io a guardarlo come fosse un marziano, ché è l’unico sedicenne che conosca che va in giro senza telefono. Ci accordiamo per vederci l’indomani, alla seconda ricreazione, per scambiarci il numero.
Ho fatto bene? Ho fatto male? Non lo so.
So, però, che quando l’ho salutato avevo il cuore stretto e negli occhi lo scontro finale tra Buck e Spitz ne Il richiamo della foresta, e sì, è proprio perché Buck e Spitz sono cani e i miei allievi umani che il cuore mi si è stretto.
So, inoltre, che un ragazzo moldavo, ripetente, all’apparenza spaesato può avere una vita complicata in una classe della formazione professionale, un po’ su in valle. Almeno all’inizio.
E so un’altra cosa, da stamattina: un ragazzo moldavo, ripetente, all’apparenza spaesato in una classe della formazione professionale, un po’ su in valle, è meglio che sia grosso. E coraggioso. Proprio come Buck.
Splendida penna e bel contenuto, lontano dal buonismo. Il pezzo mi è piaciuto a angolo giro. Mi sono sentita coinvolta in una grande voglia di fare…L’âmore infinito per la scuola è vivo in me e queste righe vere e ricche di equilibrio e saggezza mi hanno gratificato! Complimenti!
Mille grazie! 😆