Parto presto per raggiungere la scuola, con l’intento di evitare l’imbottigliamento, che giorni fa mi ha sorpresa a pochi chilometri dalla meta, facendomi arrivare poco dopo il suono della campanella. Un evento trascurabile, se le bestiole inquiete che interpretano il ruolo di miei allievi non avessero preso a urlare dalla finestra profe ritardo, domani giustifica! quando ancora dovevo chiudere la portiera dell’auto. E se non avessi incontrato la vicepreside sulle scale, naturalmente.
Il bello di mettere piede presto in aula insegnanti, comunque, è lo scambio di informazioni e di chiacchiere con i colleghi. Una di loro mi racconta di sua figlia, mia omonima, e di una Svizzera piena di possibilità. L’abbraccio dei suoi racconti mi tiene stretta mentre mi avvio in classe, con la testa in bilico tra il pensiero di una me stessa ventenne e il futuro di una figlia che non ho. Meglio concentrarsi sul presente.
Prima ora, i ragazzi sono intenti a copiare in bella il tema, ancora scossi dalla notizia di dover scrivere in corsivo; qualcuno consegna e si mette a ripassare meccanica, mentre i più si ostinano a scambiarmi per un dizionario.
Seconda ora, altra classe e una sosta ad Aci Trezza, tra laboriosi ma sciagurati pescatori siciliani. Sembra un attimo e invece ecco la campanella: abbandono Verga di Malavoglia, salutando i ragazzi e pure il mucchio di rifiuti per terra, che i bidelli lasciano come segnale di esasperazione per la villania degli studenti e che gli studenti interpretano come emblema dell’indolenza dei bidelli.
Terza ora, colloqui. Due disdette, nessun genitore. D’un tratto si affaccia un collega e mi sorride: “Le posso chiedere un colloquio?”, ma è già tempo di andare perché nelle ore successive insegno nell’altra sede.
Dopo un rapido caffè al banco in un bar che profuma di pasticcini e due parole sui PON nella seconda sala insegnanti della mattina, entro in classe. I primi minuti sono spesi nell’intento di farle sedere e tacere, le bestiole inquiete: Seduti! Silenzio! Mettete via i cellulari! Togliete il cappello! Il berretto! Levate gli auricolari! Ho detto silenzio! I libri, dove sono i libri? Avete fatto i compiti? Sì, c’erano i compiti! Ma il quaderno?!
Più tardi, breve ricreazione. Sono di sorveglianza. Sgranocchio una mela, inseguendo un rumore sospetto. Mi affaccio in una classe che non è la mia: Tutto bene?, chiedo. Sì, mi risponde qualcuno con un sorriso furbetto. Qualcun altro fissa un punto alla mia sinistra. Seguo gli sguardi: c’è qualcosa di strano… Qualcosa che manca… Possibile? Mi guardo intorno e finalmente la vedo, l’anta della porta, che riposa sdraiata sugli ultimi banchi. Perfetto.
Ultima ora, lettura dei quotidiani. Ci soffermiamo su un articolo intitolato: Roulette russa con il treno, muore a 15 anni. Quando leggiamo che la vittima è un quindicenne italo-marocchino, qualche ragazzo ride. Sarà la parola marocchino a suscitare ilarità? Non faccio in tempo a chiederlo: uno studente – italo con il trattino – mi domanda perché i giornali danno rilievo alla provenienza straniera delle persone, nel riportare le cattive notizie. Cosa rispondere? Guardo la mia piccola e multietnica classe di bestiole inquiete. Di fronte a me, ci sono teste bionde che si dichiarano fasciste e diverse tonalità di pelle nera pronte a sbottare in: Sei razzista! Bisogna procedere con cautela e rassegnarsi ai malintesi. Come quella volta che, immersi nell’antica Roma, io ho detto Sabini e B. ha capito Salvini.
– Salvini?! mi interrompe B., sorpreso.
– Sabini! ripeto, allarmata.
– Ah, profe! Avevo capito Salvini! Quello ha già la barca pronta per rimandarci a casa…
Mentre io taccio, incerta se sorridergli o sgridarlo, gli risponde un compagno, dall’altra parte dell’aula:
– Bella storia, vecio, dai che ci facciamo il viaggio gratis!
Con la tua vivace penna, mi fai sempre rivivere quei momenti con un po’ di nostalgia. Son certa però che Tu, con giovanile saggezza, sai dare loro chiarezza in una società che di riferimenti ne dá davvero pochi.Avanti tutta, cara Bea!!!😘
♥ Grazie!!! ♥