Adesso che la scuola è finita, invece di scrollarmela di dosso, mi torna voglia di scriverne. Roba da matti. Eppure è così: i pensieri che riguardano il mio ultimo anno a scuola vanno, vengono, ogni tanto si fermano. Allora basta: li acchiappo e li sistemo qui.
Eravamo rimasti alla supplenza alle medie più breve della storia e poi via, di nuovo verso le superiori. Questa volta, però, mi concedo una pausa dai Professionali e sosto in un Itis, un po’ su in valle.
Sostare in un Itis, un po’ su in valle, significa:
- prendere atto che anche da quelle parti è piuttosto diffuso il disinteresse degli studenti verso le materie umanistiche e le competenze linguistiche, considerate poco dignitose rispetto a quelle d’indirizzo;
- rallegrarsi per aver obbligato gli studenti, grazie alla minaccia della verifica in classe, alla lettura di numero libri 4 (obbligo… minaccia… verifica… lo so, lo so: ma se la lettura come piacere spontaneo, come felicità da condividere non si intravede neanche con il binocolo, bisognerà pure prendere provvedimenti, no?);
- pentirsi di aver avviato, in uno slancio di buone intenzioni, la pratica delle esercitazioni di scrittura, ché poi bisognerà pure correggerle, le maledette esercitazioni;
- rendersi conto che l’aula docenti è quel luogo in cui, a fianco di due insegnanti intenti a speak english very fluently, ce n’è una che inizia il suo discorso con: alla fine non è male, il negretto;
- distrarsi proprio quando i ragazzi sono sorprendentemente attenti e dire: ma… però. Per il resto dell’anno, pagare conseguenze salate per questo terribile errore;
- vedere, in classe, due crocefissi appesi vicini vicini alla parete e, appena sotto, molte bocche riempirsi di bestemmie;
- sentire parlare di ruspa, polenta, ci rubano il lavoro, sei un profugo più spesso di quanto consigliato per non avere violenti attacchi di mal di vivere;
- custodire come un segreto che scotta il fatto di essere vegetariana perché un po’ su in valle:
- il gusto per la caccia si tramanda con devozione di padre in figlio: dicesi il rispetto delle tradizioni;
- i giovini più veraci, durante una passeggiata in montagna, non portano sulle spalle uno zaino con dentro un panino al salame, ma un bastone da cui penzola un salame intero;
- se in un testo ci si imbatte nel riferimento alla dieta vegetariana, capace che la classe si divida tra incomprensione (cioè?) e disgusto (beeeh!);
- commuoversi per l’importanza che gli studenti danno al fatto che la loro professoressa si sposi e per l’affettuosa allegria di cui la circondano; dispiacersi per la loro delusione quando scoprono che la promessa sposa non intende:
- sposarsi in chiesa;
- indossare il velo e neppure un abito a sirena;
- andare in luna di miele alle Hawaii;
- portare la fede al dito.
Ora che il quadro è chiaro, facciamo una pausa. Ma attenzione: ho altri pensieri che – come le nuvole – vengono, vanno, ritornano… C’è quello su una supplente che vorrebbe essere temuta ma è nata con la faccia da cartone animato, c’è la gita 1 e poi la gita 2 e ce ne sono altri. Speriamo di tornare ad acchiapparli, dicebeatrice!