Non è stata facile, la notte prima del debutto tra gli aspiranti ragionieri.
Mi hanno svegliata urgentissimi quesiti, nel cuore della notte. Quesiti tipo. Perché faccio la girandola, invece di lavorare? Perché le medie, la formazione professionale, ancora le medie, adesso gli istituti tecnici? Perché eternamente debuttante, eternamente interrotta? Perché ho accettato? Perché non accettare, se con l’italiano L2 e altre cose luccicose non riesco a sopravvivere? Ma perché ho accettato, se tanto nella scuola potrò solo continuare a tappare buchi? Saprò usare il registro elettronico? Saprò preparami abbastanza per fare lezioni sensate? Perché questo raffreddore, perché in infinito ostaggio del muco? Perché il mondo va così? Perché viviamo nel peggiore dei mondi possibili?
E soprattutto. Se viviamo nel peggiore dei mondi possibili, come può Gianpazienza dormire beato?! No, non l’ho svegliato per chiederglielo. D’altronde, nella nostra vita insieme, la terra dei sogni è l’unico posto in cui si rilassa.
Mi sono spostata sul divano a proseguire con i questionamenti. Poi ho visto mio cugino e la sua ragazza farmi le facce dalla finestra. E non sono riuscita ad arrivare a scuola perché ho perso la macchina! Quando la sveglia è suonata, ho pensato con sollievo che forse l’auto ed io non eravamo ancora perdute. Il mio sollievo, però, è durato il tempo di fare dal divano allo specchio del bagno. Lì ho iniziato a ululare: Collaborate, capelli, collaborate! Niente da fare.
No, non è stata facile, la notte prima del debutto tra gli aspiranti ragionieri.
Ma il debutto non è andato male. Sorprendente, più che altro. Due classi, venti più o meno sedicenni e ventisei più o meno diciassettenni. Li accompagnerò per un mese, forse di più.
La prima sorpresa è che sono bravi. Nel senso che non sono bestioline urlanti, come in prima media. E che nessuno mi ha chiesto ti piace la salamina?, usciamo insieme?, posso andare a pisciare inchilà?, come tra gli aspiranti meccanici. Sono bravi, sì. Ogni tanto parlano tra loro ma in generale sono educati e tranquilli. Certo, non leggono (o meglio: alle medie mi pare di aver letto Geronimo Stilton… Io invece adoro leggere riviste di gossip… Io l’oroscopo sul giornale…) né sono abituati a scrivere. Ascoltano, però. Questa cosa mi ha messo subito in grossa crisi… Aiuto, mi ascoltano! Mi ascoltano, che enorme responsabilità!
La seconda sorpresa è che in realtà non ascoltano: sembrano ascoltare. Sono educati sì, ma si fanno i fatti loro. Imperturbabili. Tipo che se chiedo qualcosa, qualsiasi cosa, è possibile che su ventisei neanche uno risponda. Tipo che nessuno mi fa mai una domanda su quello che stiamo facendo: mai! È difficile digerirlo, questo. Perché io sono abituata a lavorare con gli stranieri, che – grandi o piccoli, poco importa – sono molto motivati: per loro è essenziale imparare la lingua italiana, per comunicare, per vivere.
La terza sorpresa è che mi sia sorpresa. Siamo onesti. A scuola, a sedici anni, per me l’essenziale era parlottare cinque ore su cinque con la Robi, scrivere bigliettini alla Giuli e chiedere alla Cami se mi prestava lo specchietto. Essenziale era capire come conquistarsi il più velocemente possibile al bar un fagottino alla mela e che cosa fare – esattamente – il sabato sera.
Siamo onesti! A sedici anni, a scuola, bisogna fare i conti con il Grande sonno. Colpisce le menti della stragrande maggioranza dei sedicenni, il Grande sonno. Da sempre. E fa dire, davanti a un’insegnante, cose come.
– Ehi vecio, ti fai interrogare in inglese?
– No, alla fine no…
– Paiasso!
– È che non ho aperto libro…
– Vabbè, ma almeno tu due stronzate le sai dire… Faccio cagare io, in inglese.
Oppure, sfogliando il giornale.
– È vero che tra poco ci sono le elezioni!
– Frega un cazzo.
Ecco. Semplicemente, a scuola, frega un cazzo. Di niente. Non è colpa di nessuno, è il Grande sonno. Da cui, prima o poi, ci si sveglia. Ma a sedici anni, se lo si becca in forma grave, porta a pensare solo che Odio dover entrare in classe a sorbirmi 5/6 ore di lezione che poi finita la scuola non mi serviranno mai. Nella vita io sono un nulla facento. In forma più lieve, in classe permette di tenere su il muro con la palpebra a mezz’asta e ascoltare a intermittenza, tanto Ho 16 anni e non amo particolarmente la scuola, ma mi tocca andarci e impegnarmi a volte.
Mi tocca. A volte. E ora… Shhh!