Archivi annuali: 2018


29. Non sempre un modello

Va bene, penserete voi a questo punto, ma non è che i vegani rappresentino sempre un modello di comunicazione efficace. Avete ragione, penso io. Giudicare, offendere, colpevolizzare la gente che continua a mangiare carne o a bere latte non credo che aumenti l’interesse verso la filosofia vegana, tra l’altro difficile da praticare con rigore nella nostra società carnista (ricordate la Joy?).

Che il vegano dogmatico sia una specie di sciagura è chiaro anche all’attivista belga Tobias Leenaert, che offre ai vegani interessanti consigli di comunicazione e che nel 2009 è riuscito a far istituire nella sua Gand la giornata vegetariana della settimana, il giovedì.

A proposito di tavola veggie, c’è chi l’apparecchia anche di ironia. Prendete quest’articolo, vecchiotto ma sempre attuale, di Andrea Dotti, Viviseziona il vegetariano, un piccolo e divertente decalogo sulle categorie più diffuse di commensali vegfobici. Provate a leggerlo e ricordate: questo pezzo è riuscito nell’impresa di far ridere pure l’amica G., fervente carnivora, che ha ammesso: sono sicuramente un’indignata curiosa!

P.S. E voi, a quale tipologia appartenete? A quella che pensa che se tutti fossero vegetariani saremmo invasi da vacche e maiali? 🙂


28. Etica o non etica, questo è il problema

Restiamo sulla questione comunicazione. Un anno fa è nato un dibattito riguardo alla (non?) etica vegan per via di un articolo di The Vision, che provava a rassicurare gli onnivori sostenendo che non c’è nulla di etico nella vita di un vegano, il quale si strafa di quinoa, avocado, soia, mandorle e anacardi, tutte coltivazioni che significano sfruttamento dei lavoratori e problemi ecologici.

Un discorso disonesto, mi pare: i vegani non mangiano necessariamente quinoa, avocado, soia, mandorle e anacardi, così come gli onnivori non li evitano necessariamente (fate una prova: scrivete su Google ricette avocado, aprite il primo sito che vi appare e imparerete che l’avocado si sposa felicemente con i gamberi e il pollo). Sono poi questi gli unici alimenti che implicano situazioni di sfruttamento? E ancora: è così difficile immaginare un individuo che cerchi, qualsiasi sia la sua dieta, una filiera di economia sana di prodotti da acquistare?

La risposta più interessante all’articolo di The Vision, a mio parere, è apparsa su The Wired, a firma di un onnivoro. Sentite un po’:

I vegan (o almeno i vegan ragionevoli: ma di irragionevoli ce ne sono in ogni categoria umana) non millantano che il loro cibo sia etico in assoluto. Semmai, essendo quasi sempre antispecisti ritengono una scelta etica il non nutrirsi di carne di animali, all’incirca per lo stesso motivo per cui noi non-vegani non ci nutriamo di carne di bambini o di impiegati del catasto: li riteniamo soggetti etici che non è ammissibile sventrare e divorare, a prescindere dal resto.


27. L’aspetto della comunicazione

Riguardo al mondo vegetariano/vegano, trovo l’aspetto della comunicazione davvero interessante. Mi incuriosisce da anni: da quando, cioè, ho iniziato a leggere sui giornali titoli quali: Undici mesi, figlio di vegani: ricoverato per malnutrizione oppure Vegetariano uccide la madre a coltellate per un pezzo di carne in frigo; da quando ho scoperto che se si scrive genitori vegani su Google il primo suggerimento è genitori vegani condannati e il secondo genitori vegani bambino morto; da quando ho visto, nel negozio di magliette al mare, quella con la scritta: Salva una pianta: mangia un vegano.

Quando m’imbatto in queste cose, mi sorgono alcune domande. Tipo: il problema è davvero la dieta o è il fanatismo di chi segue una certa dieta? È l’escludere la carne e i latticini o l’escludere la possibilità di informarsi per evitare carenze? Perché un giornale sceglie un titolo che neanche Lercio, omettendo il fatto che la persona vegetariana che ha accoltellato la madre soffriva di disagi psichici? Ok, fa sorridere la boutade di mangiare un vegano, ma chi indossa quella maglietta sa la differenza tra una pianta e una pecora o ha mai sentito parlare di sistema nervoso? E ancora, qual è il giovamento per l’umanità tutta che i mass media (e non solo) trasmettano l’idea che vegetariano/vegano significa pericolo?


26. E non c’è abbastanza terra

E poi e poi: qual è l’impatto sull’ambiente della produzione industriale di carne?

Secondo la Fao, un quarto delle terre non coperte di ghiacci del pianeta è usato per far pascolare il bestiame e un terzo dei terreni coltivabili per produrre cibo per alimentarlo. L’allevamento è responsabile del 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, alla pari di treni, automobili, navi e aeroplani messi insieme. Ottenere un chilo di carne inoltre richiede quindicimila litri di acqua, mentre un chilo di cereali mille.

Allevare bestiame domestico, in particolare bovini, non solo mina l’equilibrio ambientale, ma addirittura mette a rischio la sopravvivenza dell’umanità. A questo proposito, mi ha colpito un articolo apparso su Internazionale (n. 1255) a firma di George Monbiot, che parte dalla seguente domanda: da dove verrà il cibo?

Premettendo che la produzione mondiale di carne è quadruplicata in cinquant’anni e che, con l’aumento dei redditi, le persone tendono a preferire le proteine animali a quelle vegetali, il giornalista inglese scrive: “Posti straordinari come le foreste pluviali del Madagascar e del Brasile vengono rasi al suolo per fare spazio ad altro bestiame. Una transazione globale al consumo di carne vuol dire sottrarre cibo ai più poveri e il collasso ecologico di quasi tutto il pianeta. Il cambiamento di dieta sarebbe difficile da sostenere anche se la popolazione umana non dovesse crescere. Ma più aumenteranno gli abitanti del pianeta, più aumenterà la fame provocata dal consumo di carne. Prendendo come riferimento il 2010, le Nazioni Unite prevedono che il consumo di carne aumenterà del 70 per cento entro il 2030 (a un ritmo tre volte superiore all’aumento della popolazione). In parte anche per questo motivo, la domanda globale di colture potrebbe raddoppiare entro il 2050 (rispetto al 2005). E non c’è abbastanza terra.”


25. Il Chakra della Murgia

Ricca di spunti per riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte alimentari è la puntata dell’ottobre scorso Carnivori contro vegani  del programma Chakra di Michela Murgia, andato in onda su Rai Tre.

Gli ospiti sono il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani, che promuove il suo ultimo libro dal sobrio titolo I fasciovegani, lo chef Pietro Leemann, il primo a ricevere una stella Michelin per la sua cucina vegetariana e vegana, e lo scrittore Carlo D’Amicis, che ha scritto Quando eravamo prede, un interessante romanzo che ha inquietato la Murgia e pure Gianpazienza (tra un po’ forse anche me).

Ecco i miei cinque perché vale la pena vedere questa puntata:

  1. Per entusiasmarsi davanti agli interventi di una Murgia tutta spessore e acutezza (“Quando vedo una bestia che per sopravvivere posso non mangiare, la questione del perché la mangio io me la devo porre”);
  2. Per osservare un Cruciani come sempre provocatorio (“Chi mangia gli animali, chi li caccia, li ama molto di più dei vegani”), ma eccezionalmente non urlante;
  3. Per ascoltare Leemann fare una citazione in latino e sbagliarla ricordare come nella tradizione italiana c’erano tantissimi piatti vegetariani ora poco considerati;
  4. Per ragionare sulla tesi di D’Amicis: mangiamo carne per una sorta di complesso d’inferiorità verso gli animali, per cercare di prenderne l’elemento di forza, di selvaggio, di aggressività che ci manca;
  5. Per non perdersi gli sguardi interrogativi che la Murgia rivolge a Cruciani prima di arrendersi: “Non capisco la logica”.