Solitudini e Soccorso 7
L’altra notte mi sono trovata, in qualità di accompagnatrice, al Pronto Soccorso di una città che non è la mia. Abituata a un certo caos ospedaliero e consapevole d’essere, di sabato notte, nella patria dello sballo estivo, mi ha stupita la calma che regnava nelle sale d’ingresso. Il fatto che fossero presenti una cosa come dieci carabinieri e qualche vigilantes faceva, però, pensare che era tutta apparenza, quella calma. Ad ogni modo, la gente era cortese e questo basta per scioccare un lombardo.
Come sempre, oltre alle emergenze che non si vedono, in Pronto Soccorso arriva gente per i motivi più vari, dalle fitte allarmanti al fischio nelle orecchie, dal piede infortunato alla febbre alta dei bambini. Qualcuno fa il suo ingresso con camicia bianca o tacchi svettanti sotto gambe abbronzate, alla fine di una serata brava. Qualcun altro arruffato e addormentato. Un milanese che sembra uscito da un film di Fellini esclama non voglio morire a Rimini! a un dottore per nulla impressionato, che lo invita a ritornare con calma l’indomani. Le mamme vengono messe su una barella con il pargolo sofferente parcheggiato sul petto a mo’ di koala e poi guidate verso un altro reparto, lasciandosi alle spalle una scia di tenerezza. Una giovane straniera parla a lungo in inglese con una dottoressa e qualche carabiniere, sembra una storia complicata… Le due sole domande udite – Ma chi ha trovato la ragazza? e Come mai sei qui? – bastano perché la mia fantasia galoppi verso scenari noir e perché Daniele, il mio compare di attesa, non abbia più pace.
Una cosa mi colpisce più delle altre. Trattasi di signora piccola, robusta, piuttosto agée ma con chioma scurissima che arriva da sola e si avvicina timidamente al medico-receptionist. Mi metto in ascolto. (A questo punto avrete capito che quella notte io avevo le orecchie particolarmente impiccione, sarà il tempo da far passare o la preoccupazione da calmare.) (altro…)